L’arte, la cultura in genere,
si sono spesso piegate, se non asservite, alle necessità dei regimi totalitari.
Questo è accaduto a più latitudini, per le motivazioni più diverse, ma che
sostanzialmente si possono ridurre alla necessità di "sopravvivenza" degli
artisti e dei movimenti artistici, da una parte, ma anche da un’aperta
“adesione” ideologica, dall’altra.
Il rapporto con gli artisti è
sempre stato cercato, ma anche temuto, da parte dei regimi, proprio perché essi
avevano l’estrema necessità del “consenso popolare” e, grazie agli artisti,
all’immaginario collettivo che essi sapevano evocare, essi potevano delineare
una cultura di massa che si nutrisse soprattutto di se stessa. In altre parole
una cultura che servisse a creare l’impressione, verso l’esterno ma anche e
soprattutto al suo interno, che “la vita nel paese fosse sana e che tutti i
cittadini fossero onesti e patriottici”, come osservava uno studio di R.
Tannenbaum. Sotto quest’aspetto l’Italia fascista superò persino la Russia
stalinista.
Ma come si crea il consenso ad
un regime totalitario? Quali gli strumenti?
In un’epoca nella quale non
esisteva ancora la televisione i media privilegiati furono, da una parte, sia i
manifesti murali che tappezzavano con insistenza le città, sia le opere degli
artisti più celebrati e, dall’altra, la cosiddetta “rete delle riviste” ovvero
un serie di pubblicazioni dirette a vari segmenti della popolazione, secondo
l’età, la professione e la fascia sociale, che erano legate tra loro dal sottile
filo della propaganda continua, all’inizio camuffata poi via via sempre più
invadente, sino a divenire becera ed opprimente. In un secondo tempo a questi
media se n’aggiunse un altro che divenne uno strumento formidabile per la
diffusione “in tempo” reale dell’ideologia del regime: la radio. Tramite la
radio, infatti, erano diffusi non solo i numerosissimi discorsi del duce, ma
anche proclami, direttive comportamentali, pubblicità autarchiche (il famoso
“acquistate prodotti italiani”), ma anche informazione, intrattenimenti e
varietà, tutti invariabilmente controllati e manipolati dal regime.
Insomma, il rituale della
“vita dinamica e fascista” grazie alla rete della propaganda, copriva tutto,
conservava tutto, salvava tutto e liberava tutti dalla libertà, ottenendone, in
cambio, il consenso.
Ma ottenere il consenso era
un’arte. E fu appunto per questo che il regime chiamò a raccolta gli artisti che
via via furono “normalizzati”, cioè inquadrati. E una volta che un artista o uno
scrittore si fosse inserito nell’appropriata istituzione fascista, era
relativamente libero di produrre ciò che voleva. In questo senso il regime
fascista si distinse per una politica di tolleranza, e dunque il suo impegno per
un totalitarismo culturale e intellettuale fu soprattutto organizzativo.
Ma quale arte serviva al
regime per creare il consenso?
Nel 1926, Mussolini, in un
discorso pronunciato all’Accademia di Perugia, affermò, in maniera del tutto
contraddittoria, che l’arte dell’Italia fascista doveva essere «tradizionalista
e moderna». Si trattava di un’antinomia di termini che vedeva la sua origine in
una questione allora ancora irrisolta: ovvero se accettare le proposte di
rinnovamento dei futuristi, oppure se rivolgersi verso una rivalutazione della
cultura neoclassica, ed in particolare del monumentalismo della Roma Imperiale,
il cui fascino in termini d’immagine sollecitava non poco le mire di grandeur
del regime. Fu, nel 1932, la Mostra della rivoluzione fascista, a sancire
l’affermazione di una serie di valori e dei relativi stilemi: monumentalismo
romano, lettering cubitale ed architettonico, effetti scenografici, colorismo
rude e segno rozzo, ritenuto virile. Insomma l’affermazione del movimento
antagonista del futurismo, e cioè il Novecento di Margherita Sarfatti, con le
sue componenti di «coralità» socializzante, e del quale il principale cantore
era Mario Sironi, già futurista della prima ora. Affermazione alla quale i
futuristi risposero riproponendo l’Aeropittura e «lanciando» la Plastica Murale,
che però si rivelò fin troppo «sperimentale», appunto troppo d’avanguardia per
un gusto ormai già sempre più ingessato nel «cupo» stile dei novecentisti.
Info Mostra
L'arte per il Consenso
Museo Casa Natale di Mussolini
Predappio - Forlì e Cesena - (ingresso Piazza Garibaldi)
Tel.: 0543921222 / Tel.: 0543921738
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Catalogo a cura di Massimo Cirulli e Maurizio Scudiero.
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