L'ELICA E LA LUCE
Le Futuriste 1912 – 1944
Museo MAN, Nuoro
9 marzo – 10 giugno 2018
a cura di
Chiara Gatti
Raffaella Resch
Come già nel 2015 con la mostra di Vivian Maier. Street Photography e nel 2017 con la mostra Berenice
Abbott. Topografie, anche quest'anno il MAN ha deciso di rivolgere il proprio sguardo allo specifico femminile
in arte. L'esposizione L'elica e la luce. Le futuriste, 1912-1944 individua il lavoro di artiste e intellettuali
– figure indipendenti di primo piano nella ricerca estetica d'inizio secolo – sviluppando contemporaneamente
il programma di riscoperta avviato da alcuni anni dal Museo sui movimenti delle avanguardie storiche.
L'idea della mostra nasce un anno fa grazie all'intuizione delle due curatrici della mostra, Chiara Gatti e Raffaella
Resch, professioniste affermate con cui il museo ha già in passato avuto il piacere di collaborare con
la realizzazione di due grandi mostre dedicate rispettivamente a Alberto Giacometti e Paul Klee.
Il progetto prosegue il filone di ricerca dedicato ai movimenti delle avanguardie artistiche del Novecento con
l'obbiettivo di indagare, da un punto di vista esclusivo, il movimento futurista e le sue protagoniste. Il taglio
inedito è proprio l'attenzione che il concept riserva alle personalità femminili all'interno di un movimento
storico artistico definito e proclamato, sin dalla sua nascita, come estremamente misogino.
Nonostante ciò le artiste futuriste furono parte importante nella ricerca, sperimentazione e espressione
del nuovo linguaggio artistico, tanto da risultare come figure fondamentali, anche se purtroppo, poco conosciute.
La mostra rende loro omaggio attraverso una raccolta delle opere principali oltre che a un vasto e
completo materiale documentario presente nel percorso espositivo anche come raccolta visiva, attraverso
un allestimento dinamico strutturato attraverso una serie di installazioni digitali – collocate nelle sale – che
accompagnano il visitatore arricchendo, in questo modo, il taglio storico-critico della mostra.
Il progetto che presentiamo conferma e rafforza l'idea del museo come luogo di ricerca, studio e riflessione,
in accordo con la mission stessa dell'Istituzione.
Un ringraziamento particolare va fatto al grande numero di archivi e collezioni che hanno collaborato alla
realizzazione della mostra, oltre che ai musei pubblici e alle Sovrintendenze dei territori di competenza. La
Regione Autonoma della Sardegna, la Fondazione di Sardegna e la Provincia di Nuoro, principali sostenitori
del MAN, credo possano essere orgogliosi di un'Istituzione che continua a dimostrarsi capace di leggere
la storia dell'arte in maniera originale e inedita, e che si configura ancora una volta come luogo di ricerca e
riflessione per la comunità.
Tonino Rocca
Presidente MAN
Giancarlo Carpi
Le scrittrici futuriste.
Reificazione, superamento
del genere e feticismo
La letteratura critica sulle donne futuriste è aumentata
considerevolmente nell'ultimo decennio, anche
grazie alle pubblicazioni uscite in occasione del
centenario del manifesto di fondazione del futurismo.
Si può davvero parlare di un nuovo filone di
studi, che ha attratto l'interesse di accademici e
critici di formazione diversa, in Italia, Francia e soprattutto
nel mondo anglosassone. Il numero
dell'«International Yearbook of Futurism Studies»
diretto da Günter Berghaus, nel 2015 è stato dedicato
a questo tema. A fronte di una certa quantità
di volumi e saggi consacrati alle scrittrici, si annovera
anche un certo numero di monografie consacrate
alle singole artiste. Anche per alcune pittrici
del movimento futurista italiano si è assistito a una
vera e propria rivalutazione, basti pensare ai grandi
pannelli delle comunicazioni di Benedetta che chiudevano
la mostra sul futurismo italiano al Guggenheim
di New York nel 2014 occupando l'enorme
parete della sala alla sommità della spirale. Tuttavia,
le esposizioni delle opere delle artiste sono
avvenute quasi sempre nell'ambito di collettive più
ampie. Questa mostra ha senz'altro il merito di colmare
tale lacuna, costituendo la più larga riunione
di opere plastiche di artiste del futurismo italiano
– e una collezione dei libri più importanti –. Ciò
detto credo occorra approfondire un po' le ragioni
e le prospettive che hanno mosso e che muovono
questo interesse. In effetti, quali sono le ragioni
che autorizzano lo studio della produzione femminile,
considerandola peraltro come un sottoinsieme
della produzione futurista? Per quanto riguarda lo
specifico letterario, per alcuni l'obbiettivo storiografico
è stato quello di consentirne una motivata rivalutazione
all'interno della storia della letteratura
italiana. Questo, di per sé, è un fatto non così ovvio,
ma da leggersi, in controtendenza, nel contesto
di un quasi secolare ostracismo della ricerca accademica
letteraria verso la produzione del futurismo
in generale, a partire ovviamente dalla quella di
Filippo Tommaso Marinetti. La questione è assai
diversa se si volesse invece partire dall'altro specifico,
quello della storia dell'arte, per la quale l'importanza
della produzione plastica del futurismo
italiano è chiara da almeno tre decenni. Allora è
accaduto che le artiste del movimento futurista
sono state considerate alla pari degli altri artisti, e
che, nello specifico, la rivalutazione della produzione
ad esempio di Benedetta è occorsa all'interno
della generale rivalutazione del «futurismo romano
», che fa capo a Balla, e quella ad esempio di
Marisa Mori all'interno della generale rivalutazione
dell'aeropittura. Ma tonando alle prospettive di ricerca,
la linea guida, che ne ha supportato l'interesse
e la riscoperta, è stata senz'altro una
prospettiva che ne considerasse la produzione in
senso interdisciplinare e perciò anche disponendo
un confronto interno con la filosofia, e con l'elaborazione
culturale del futurismo nel suo complesso.
Da qui alcuni interrogativi: le donne sono state determinanti
o hanno contribuito ad alcune delle principali
novità estetiche del futurismo? Le donne
rappresentano uno specifico all'interno della teoresi
generale del futurismo? Alla prima domanda risponderei
di no, nel senso che in effetti le parole
in libertà, il dinamismo plastico, il superamento del
Giancarlo Carpi
confine della finzione tramite la cornice, e altre cruciali
svolte, si debbono a uomini. Similmente, parlando
di qualità tecnica e poetica al di là della
scoperta linguistica, il magistero spetta a Boccioni,
Balla, Marinetti. C'è, tuttavia, un ambito specifico
che le donne hanno interpretato, nel loro insieme,
in modo più profondo e completo rispetto agli uomini,
l'ambito della interdisciplinarietà. Constatando
i semplici dati di fatto, molte delle donne che aderirono
al futurismo furono sia scrittrici che pittrici,
o illustratrici, o performer o paroliberiste. Da Benedetta
a Valentine de Saint-Point, da Barbara a Adele
Gloria. In secondo luogo a me sembra che
alcune di loro abbiano vissuto questa doppia o molteplice
vocazione in modo più sereno rispetto agli
uomini. Boccioni fu scrittore di testi notevoli, ma il
suo obbiettivo, e la sua vita, le consacrò al superamento
del cubismo. Guardando poi alla qualità della
produzione da questa prospettiva, credo che
l'unità voluta e strutturale di componenti disparate
(verbali e visive), de Le forze umane di Benedetta,
sia tra le massime prove di una disposizione a muoversi
tra i linguaggi e i media espressivi senza timore.
È però alla seconda domanda che si può
rispondere felicemente, e alla fin fine si tratta, a
mio parere, della vera ragione di interesse. Lo specifico
femminile si mostra allorché, approcciando il
futurismo come un oggetto storiografico e critico
unitario, vi si riconosca la centralità di due categorie,
quella del post-umano e quella del feticismo.
Rispetto alla prima categoria, l'esistenza delle donne
causa, di per sé, una potente revisione del quadro
di insieme. Si tratta di pensare le donne,
rispetto agli uomini, come soggetti facilitati nel
superamento della loro condizione umana, proprio
in quanto sono donne. Il fatto è che esse appaiono
come vere e proprie incarnazioni del quadro teorico
complessivo del futurismo. Attraverso di esse, piuttosto
che attraverso gli uomini, è più facile pensare
il superamento della condizione umana voluto
dalla teoresi futurista, perché in molte di esse albergava
un'istanza di superamento della loro identità
di genere. È questa una prospettiva che
propongo in accordo con la ricerca abbastanza recente
di Paola Sica. Si possono cioè considerare
le donne, in carne e ossa, che aderirono al futurismo,
come strumenti e chiavi di volta della realizzazione
della proposta ontologica, ancorché
estetica (secondo il nesso arte-vita), del futurismo.
Una proposta che, come è noto, è stata tematizzata
nell'arco tutto della produzione e riflessione del
futurismo, principalmente nel confronto tra l'essere
umano e la macchina. Il secondo tema è quello
del feticismo ed è articolato al precedente se ne
consideriamo il momento negativo, provocato, appunto,
dalla sostituzione feticistica, come funzione
del rapporto tra umano e non umano. Nella produzione
letteraria e pittorica, il tema è stato elaborato
soprattutto come dialettica tra umanizzazione e
reificazione nel confronto dell'uomo con la macchina
e con la materia. Orbene, all'interno di queste
coordinate, alle scrittrici futuriste si deve una produzione
che non solo coglie appieno il senso dell'intuizione
marinettiana, ma la attua secondo
prerogative autonome ed esclusive. Infatti, la reificazione
di sé che Marinetti ha realizzato nei suoi testi tramite l'uso della figura retorica della prosopopea,
la sua trasformazione in macchina e/o in
materia, per alcune scrittrici, come Maria Ginanni
o come Rosa Rosà, rappresentò una modalità creativa
per rinnegare la loro identità femminile, per
raggiungere una condizione de-sessualizzata, quella
della macchina o della materia. La Sica nel suo
libro insiste sul nesso antagonistico tra materia e
spirito, e sulla volontà del gruppo dell'Italia Futurista
di raggiungere una condizione immateriale, come
duplice superamento della mortalità e del genere.
Ora va riconosciuto anzitutto che questa interpretazione
è convincente e che, se la si considera, si può
affermare che le scrittrici del gruppo fiorentino hanno
anticipato (di una quindicina di anni) le istanze
dell'aeropittura, la ricerca di una nuova sensibilità
extraterreste, e, direi, extracorporea. Come si sa,
l'anelito all'immaterialità appartiene al futurismo
dagli inizi (esempio più evidente ne è proprio la produzione
plastica, anche solo a un'analisi stilistica),
ma solo negli anni Trenta assunse una consistenza
tematica e programmatica quasi assoluta. Tuttavia,
rispetto a quanto sostenuto dalla Sica, vorrei problematizzare
la collisione tra reificazione e immateriale,
o meglio, la continuità tra oggettificazione
(riduzione a oggetto) e oggettivazione (rinuncia alla
soggettività). Di fatto, la principale tecnica compositiva
della Ginanni è l'antropomorfismo, l'ipostasi
o sostanzializzazione, e in alcuni momenti topici
della sua scrittura queste entità astratte sostanzializzate,
o entità materiche personificate, hanno un
carattere di assenza, mutilazione, parzialità: «acuminata
limitazione». Una dimensione che, per portare
un'altra immagine, ricorda il nesso tra assenza/
potenza dell'invito di Marinetti alle donne, «Donne
dovete preferire i gloriosi mutilati». In questo passo
della Ginanni, i temi sono allo scoperto anche
nella loro relazione di ambivalenza:
Il nostro organismo dovrebbe poter scomporsi nei
suoi pezzi con tre o quattro movimenti decisivi e
veloci. Essere il nostro piccolo bagaglio. Tante volte
mi sono divertita ad immaginare la mia persona agile
e vibrante ridotta in un fascetto ordinato di ossa
presso a poco di uguale lunghezza legate con un
nastrino di seta rosa… Così… il mio spirito intatto
potrebbe continuare le sue concezioni di esaltante
purezza seguendo da lontano il suo piccolo vestito
smontato.
Sono immagini che recuperano il «corpo motore
dai diversi pezzi intercambiabili» di Marinetti (e
che ricordano i fiori futuristi di Balla, smontabili,
mobili), tuttavia c'è, a me pare, un elemento sadico
– il corpo ridotto a un «fascetto ordinato di
ossa» – connesso a un elemento estetizzante – il
nastrino rosa. In altre, parole, la reificazione si realizza
come mutilazione dell'io. Non è infatti possibile
distinguere totalmente «la mia persona» dall'io
parlante. Mi trovo d'accordo quando la Sica vede
in queste continue trasformazioni una sostanziale
irresolutezza rispetto alla possibilità di un superamento
definitivo della propria identità: «In general,
Ginanni's characters encapsulate both the hope for
change and ambivalence toward that change. Their
incessant methamorphosis is a means to express
all that». Il punto è che, proprio tale inconclusa
metamorfosi, viene a essere, come già in Marinetti,
una dialettica tra uomo e materia, uomo e macchina,
basata sul feticismo, sulla mancanza. Anche
il tema della macchina nella Ginanni oscilla tra una
dimensione euforica e una disforica della oggettivazione
dell'uomo: «She declares that all humans
are like “meccaniche lucide ruote di metallo che la
vita costringe a girare sui suoi binari simmetrici”».
Quest'immagine può essere interpretata, nel contesto
della teoresi futurista, fuor di metafora. Si ha
una meccanizzazione disforica dell'umano e, viceversa,
una umanizzazione disforica della macchina.
Questo sistema retorico e concettuale della Ginanni
rinvia, a mio parere, come quello di Marinetti, al
contesto più ampio del confronto tra il futurismo
e il capitalismo, secondo il concetto di feticismo
delle merci. Similmente alcuni personaggi femminili
di Fanni Diny sono costruiti tramite una dialettica
tra personificazione e reificazione che esprime una
«co-dipendenza» tra l'umano e la materia. Ed è
significativo che il tema economico era vissuto dalle
donne in modo strettamente collegato con l'oggettificazione
di sé e lo scambio (la prostituzione,
il matrimonio). A riprova di come fosse avvertito
proprio in senso ontologico, o quantomeno esistenziale,
si veda Magamal che afferma un nesso tra
«stato elettrico», «ebrezza futurista» e ricchezza
economica:
Credo che l'uomo anche qui sulla terra può raggiungere
uno stato molto più gioioso – perché elettrico,
intenso, forte, artistico. Ebrezza futurista continua
e non a baleni. Più sano, più geniale e perciò più
ricco economicamente – Tutti potrebbero essere
ricchi e gioiosi.
Si delineano così le categorie di fondo che mossero
le scrittrici futuriste, specie le aderenti al gruppo de
L'Italia Futurista. Il loro lavoro, fu dunque filosoficamente
centrale e al tempo stesso originale – per
le sue radicali motivazioni di genere – nella storia
dell'avanguardia italiana.
GIACOMO BALLA - Arazzo ricamato con motivo di stilizzazione floreale, 1918 ca
A CORPO LIBERO
REGINA - Danzatrice, 1930
REGINA - Ritratto di ragazza, 1932-1933
ANIMA E PAROLE
MARIETTA ANGELINI - Ritratto di Marinetti, 1916
COMINAZZINI – Risveglio, 1940
MARIETTA ANGELINI - Ritratto di Cangiullo, 1916
PAESAGGI COSMICI
RUZENA ZATKOVA - Mallorca, 1913
RUZENA ZATKOVA - Capri, 1913 ca.
BENEDETTA - Ritmi di rocce e mare, 1929 ca
BENEDETTA - Sintesi delle comunicazioni marittime, 1933
BENEDETTA - Sintesi delle comunicazioni terrestri, 1933
BENEDETTA - Cime arse di solitudine, 1936 ca
COMINAZZINI - Verticalismo, 1940
ARTI POLIMATERICHE
BICE LAZZARI - Arazzo, 1928
GIGIA CORONA - Festa tricolore, 1932
GIGIA CORONA - Danza futurista, 1926
ELICA BALLA - Ritratto di giovane donna in rosso, 1934
MAN_Museo d’Arte della Provincia di Nuoro
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09.03 - 10.06.2018
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