Futurism&Co

BALLA

Dalla luce alla luce


Futurism & Co., Roma
Roma, 1 ottobre 2020 - 31 gennaio 2021


A cura di Elena Gigli









Giacomo Balla

Rendere la luce è sempre stato il mio studio preferito


    La mostra GIACOMO BALLA - dalla luce alla luce vuole ripercorrere il percorso artistico di Giacomo Balla analizzando i suoi due strumenti principali: luce e movimento. Partendo dal presupposto scritto nel Manifesto tecnico della pittura futurista del 1910 - «noi proclamiamo che il moto e la luce distruggono la materialità dei corpi» - si individuano nella luce e nel movimento gli strumenti per dominare la materia pittorica dell’arte di Balla. La luce già nei manifesti futuristi va a braccetto con il movimento: i nostri occhi abituati alla penombra si apriranno alle più radiose visioni di luci. Le ombre che dipingeranno saranno più radiose delle luci dei nostri predecessori. […] Noi futuristi ascendiamo verso le vette più eccelse e più radiose e ci proclamiamo signori della luce… […] Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente… […] Il gesto, per noi, non sarà più un momento fermato del dinamismo universale: sarà, decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale…». Alfredo Petrucci nel 1920 scriverà: «Preoccupazione dei futuristi, fu invece la durata dell’apparenza. E fermo in questo concetto, il Balla, prima che Boccioni, giungesse alle audaci sue astrazioni plastiche, fissò in alcuni dipinti i suoi studi sulle figure in movimento.
   Già dalle opere di inizio secolo, troviamo in Giacomo Balla l’interesse per la luce. Le vedute di Villa Borghese del 1905 con in fondo il Cupolone e l’eucaliptus, l’ombra che la sua casa-convento fa sul prato al di la della ringhiera, le torri del Museo Borghese illuminate dalla luna, lo scrosciare dell’acqua dalla fontana, il volto della fidanzata Elisa… tutto diventa arte - nuova - immutabile… La luce è il soggetto, il tema, la fonte ispiratrice dell’arte di Giacomo Balla: da fuori entra e si riflette nella realtà che rappresenta. Uno tra tutti è il corpo di Elisa nel pastello del 1908 intitolato Nudo in controluce. Elisa è di spalle, in piedi: la verticalità del corpo femminile illuminato da dietro è rotta solo da braccio sinistro flesso con la mano appoggiata al fianco mentre sorregge il velo che la copre nella parte inferiore. Il volto, leggermente ripiegato verso sinistra, con lo sguardo verso il basso, chiude in alto con una leggera curva illuminata dalla luce che entra dalla finestra la linea di contorno del corpo in controluce.
   E partiamo con la prima decade del Novecento dove attraverso questi lavori possiamo già vedere la nuova rappresentazione che Balla fa della luce e del movimento. A paradigma di questo momento, cito la tavola dove Balla rappresenta la piccola Luce intenta a leggere appoggiata sulle ginocchia della mamma Elisa, intitolata Affetti: attraverso il Divisionismo, Balla crea una “vibrazione assoluta del personaggio in sintonia con l’atmosfera che lo circonda”. Nella sala grande, oltre al tavolo e al mantello da pittore buttato sulla sedia, una mamma insegna a leggere alla sua piccola: la luce entra dalla finestra e va ad illuminare il volto della piccola Lucia appoggiata sulle ginocchia della mamma Elisa… ed eccoci anche noi nel grande trittico conservato alla Galleria Nazionale di Roma.
   Il Pittore Balla nato a Torino 1871, senza badare a scuole e maestri, si diede subito alla ricerca del vero interpretandone i suoi infiniti aspetti con una sua tecnica coloratisferica e luminosa… Quando la sublime Natura ingenuamente scopre le più pure e sempre vergini linee, nei suoi colori che come in un amplesso d’amore passano dal pallido al rosso, dal caldo al freddo e tutto canta dolcezza e bontà, tutto è vita armonia perfetta: potrebbe essere la descrizione della grande tela dove Balla rappresenta Orione come è visibile nella fotografia dello studio pubblicata da Fagiolo nel 1967. Ugo Antonelli testimonia così, nel 1908, di aver visto “non discosto da queste tele […] un altro quadro che fu esposto nell’ultima mostra romana [Amatori e Cultori del 1908, n. 314 - nda]. Un quadro nuovo che, forse, per l’arditezza della concezione sarà passato non compreso da molti. Quale pittore ha tentato di riprodurre unicamente un brano di cielo notturno?... Orione: la costellazione il Balla ha voluto ritrarre, riuscendo felicemente. È una tela che, per l’ardito concepimento e la rara maestria spiegata nella lavorazione, segna uno sforzo intentato già, un passo nuovo sul cammino della pittura. […] L’arte di Giacomo Balla, impeccabile e vivida, è materiata tutta di luce; in pochi pittori questa raggia come in lui. … non potrei che chiamarlo: il dipintore della luce”.
   Il pittore completo che ama la verità eterna nell’espressione della NATURA, quando viene pittoricamente suggestionato da essa, le correnti trasmissive sono ingenuamente prive di qualunque scuola, metodo, regola, maniera ecc. e sono verginalmente sincere, NATE solo perché hanno trovato quei dati specialissimi sensi o nervi scrupolosamente adatti alle creazioni artistiche G.B.. “Villa Borghese, 1906 […] Questi quadri su villa Borghese (molti altri inediti ne esistono) costituiscono il primo ciclo vero e sua montaigne St. Victoire: il pittore, con intento sperimentale, la osservava a tutte le ore del giorno, studiando l’incidenza delle ombre e della luce. Proprio come, più tardi, studierà la compenetrazione iridescente o la velocità di un’automobile o il volo degli uccelli. Quasi un impegno manicheo: la luce e l’ombra, il bene e il male, l’oscurantismo e l’illuminismo. Aggiungiamo che è già presente la volontà di trovare un ritmo sintetico, con una linea che non è più liberty ma già razionale. Linea di forza più che linea di forma”. Appena fuori dalla sua abitazione, Balla si trova immerso nell’allegria di Villa Borghese con i suoi alberi, le sue stradine, le sue sculture, le sue fontane: tutte situazioni che diventano le fonti per i suoi lavori. E proprio dentro questi particolari e semplici momenti naturali, Balla cerca la verità e la individua nella semplicità di una strada, di una fronda mossa dal vento, di un orizzonte alto, di sottili alberi oltre il balcone: La semplicità, parola che si usa moltissimo ma quasi mai messa a posto è la base della bellezza, la quale è sempre prodotta dalla perfetta verità degli elementi e tutte le opere grandi sono manifestate con mezzi tecnici semplicissimi. Si tratta, di solito, di vedute primaverili. C’è un albero posto a segnare un piano intermedio, c’è la proiezione di un’ombra sulla sinistra, c’è un fondale verso il cielo (un taglio quasi fotografico) che inquadra il Cupolone. Giacomo Balla va a abitare nell’estate del 1904, poco dopo essersi sposato con Elisa Marcucci, in un antico monastero in via Parioli 6 (l’attuale via Paisiello), all’angolo di via Nicolò Porpora. La nuova famiglia viene a trovarsi nello spazio quasi sconfinato della Villa Borghese, che è stata acquistata dallo Stato nel 1901 ed è stata concessa al Comune di Roma. Nelle stanze-cella, Balla colloca la sua casa e il suo studio: è un angolo felice di natura ritagliato ai margini periferici della città, ben diverso dall’odierno quartiere chic Parioli. E dipinge quello che vede dal balcone del suo studio, oppure uscendo appena fuori la porta di casa. Nel pastello della Banca d’Italia intitolato Fontana a Villa Borghese6 notiamo come lo scendere dell’acqua a sinistra venga descritto da Balla attraverso la luce: con l’uso del temperino, viene infatti inciso il pastello creando cosi la caduta dell’acqua illuminata dalla luce che viene a rimbalzare nella vasca È tutto un rimando di luce e di movimento come nel lavoro di Marco Ricci sulla radiazione della luce artificiale, dove la luce viene a scomporsi nelle sue basi catturando la luce del sole attraverso i pannelli fotovoltaici. L’energia viene cosi catturata e restituita attraverso la luce dei tre colori primari del rosso, blue e verde: il tutto in una leggerezza di macchina di luce volta a traghettare il pulviscolo atmosferico proprio come già fatto prima da Leonardo da Vinci nel ‘500 e ora Giacomo Balla che non a caso ama definirsi nel 500 mi chiamavo Leonardo \ O’ già creato una nuova sensibilità \ nell’arte espressione dei tempi futuri che saranno colorradioiridesplendorideal \ luminosssssssssimiiiiii \ FuturBalla.
   In pochi anni, fino al 1910 (l’anno del grande polittico Villa Borghese), questo tema della natura ai confini dell’abitazione diventa la sua Montagne Sainte-Victoire. Un tema da indagare, da provare e riprovare, da scarnire fino all’astrazione. Si tratta di uno dei primi temi sperimentali affrontati dal pittore, proprio come saranno all’epoca eroica del Futurismo i temi della rondine (vista dallo stesso balcone), l’Automobile in corsa, la Velocità astratta, le Linee forza di paesaggio, le Trasformazioni forme spirito, il Mercurio che passa davanti al sole, e così via. Una ricerca sperimentale in atto che, partendo sempre dallo stesso luogo, arriva a semplificarlo e quasi a svuotarlo con una idea mentale quasi “astratta” (sarà lo stesso Balla a definirsi “astrattista futurista” nel manifesto Ricostruzione futurista dell’universo, del marzo 1915). «Il pittore, con intento sperimentale, la osservava a tutte le ore del giorno, studiando l’incidenza delle ombre e della luce. Proprio come, più tardi, studierà la compenetrazione iridescente o la velocità di un’automobile o il volo degli uccelli. Quasi un impegno manicheo: la luce e l’ombra, il bene e il male, l’oscurantismo e l’illuminismo. Aggiungiamo che è già presente la volontà di trovare un ritmo sintetico del movimento, con una linea che non è più liberty ma già razionale: linea di forza più che linea di forma», ne ha scritto per primo Maurizio Fagiolo. Altro esempio di luce divinizzata lo troviamo nel ritratto che Balla fa alla giovane allieva Ferrini, appoggiata alla balaustra della villa: alle sue spalle, a farle da sfondo, una cornice di pini vibranti ai raggi del sole dentro villa Borghese. Esposta nella sala VI della Esposizione Nazionale di Belle Arti al Palazzo della Permanente di Milano nel 1910 col titolo Villa Medici, la grande tela (cm 130x100) è una immagine. naturalistica con figura femminile dove - per i raggi del sole che vibrano oltre i pini - non siamo distanti dalle ricerche sull’iride dei prossimi studi definiti Compenetrazioni iridescenti. E ancora, ci troviamo nel piazzale Scipione Borghese proprio dietro la Galleria Borghese: Balla prende spunto per realizzare quella grande composizione di 15 pannelli venduta poi nel 1962 dall’Ambasciatore Giuseppe Cosmelli alla Galleria Nazionale di Roma e conosciuta come Parco dei Daini. Ne parla in questi termini lo stesso Balla nella lettera che invia all’allora direttore del MoMA, Alfred J. Barr, nel 1954: Rendere la luce è sempre stato il mio studio preferito; oltre studi particolari ho dipinto un grande paesaggio (1910) in cui ho ottenuto la vibrazione luminosa del cielo mediante forme circolari azzurre, rosa e lilla attraversate da linee rette di colore giallo chiarissimo8. Ugo Antonelli nota nel 1908 la capacità di fissare l’ora del giorno: «il sole di meridione, come nel fresco quadro Maggio, la malinconia e dolce maestà del tramonto […] come in un sogno definendolo il dipintore della luce».
   Gli anni del Futurismo, poi, vedono proprio la sintesi di questo rapporto luce - movimento: dopo la luce come energia del capolavoro del MoMA - Lampada ad arco - il movimento diventa un tutt’uno con la luce approdando in fondo alla ricerca della linea di velocità. Ma andiamo per ordine: 1912 anno della luce e del movimento. Dipinge il movimento nella tela di Buffalo (USA) Guinzaglio in moto e in quella della Collezione Grassi (Milano) Bambina x balcone, mentre la luce diventa il tema della ricerca che svolge a Düsseldorf ospite dei Lowenstein. In una lettera alla famiglia del 18 novembre 1912 - dove alla fine disegna la finestra sul fiume Reno - Giacomo Balla annota: …luce elettrica accesa con ogni genere di effetti fosforescenti e fantastici» - e conclude - «Intanto ò aperto un momento \ la finestra per cambiar l’aria\ lontano si vede il Reno col ponte\ in ferro ogni cosa è velata \ e l’Italia com’è lontana! E Maurizio Fagiolo dell’Arco scrive: «Poco dopo il felice ritrovamento [1968 nda], pubblicavo il quadro con questa scheda: Aggiungiamo al periodo tedesco di Balla un nuovo quadro (ricuperato nel 1968 da Luce e Elica Balla). Si tratta della finestra da cui si intravedono il Reno con un ponte: di alcuni dipinti con il soggetto del fiume, Balla parla in una lettera della fine del 1912; in primo piano, appoggiato al davanzale, è il binocolo di cui Balla parla in una lettera del 5 dicembre 1912. Il quadro si rivela come l’anello mancante nella analisi del binomio luce-movimento. È organizzato con una struttura rigorosamente geometrica; è impaginato con il solito taglio fotografico; contiene, data la presenza del vetro della finestra, l’artificio del rispecchiamento: è dipinto a lineette di colore; il tono generale è mantenuto sul bianco-blu [...]. L’impostazione coloristica generale si lega a Dinamismo di un cane al guinzaglio (dipinto nel maggio); la scomposizione a tratti colorati si riallaccia a Bambina che corre sul balcone (dipinto nell’agosto); il ritmo e il taglio si collegano a La mano del violinista (Balla dipinge il quadro a Düsseldorf nel novembre-dicembre); l’analisi spettrografica della luce è naturalmente in sintonia con le Compenetrazioni iridescenti (Balla ne invia il primo esemplare alla famiglia il 5 dicembre 1912). Finestra di Düsseldorf, dipinto verosimilmente nel novembre-dicembre 1912 è l’ultimo documento per studiare il tormentato trapasso tra pittura oggettiva e astrattismo. Da notare infine che l’artificio del rispecchiamento è già presente nella Pazza, mentre la scomposizione della luce a trattini orizzontali è presente in studi di Compenetrazioni iridescenti».
   Finito il primo decennio del Novecento, Balla liberatosi «dal fardello della esperienza, della celebrità, e di tutte le sue opere, rinverginato con rinnovato ardore irradiante di Fede, molta intuizione, ottimismo, fresco come una rosa fresca; felice nel sentirsi nuovo di bucato, incominciò in mezzo ad un camerone vuoto bianchissimo a tracciare sopra fogli di carta le linee di auto in corsa, oggettive prima, sintetiche in seguito, basi fondamentali e formidabili delle personalissime forme-pensiero: creazioni sue inconfondibili», decide di voltare pagina, anzi tela. Contemporaneamente Filippo Tommaso Marinetti afferma che «la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia». E Giacomo Balla nel sottoscrivere i manifesti futuristi declama che la nostra brama di verità non può non essere appagata dalla Forma né dal Colore tradizionali! Il gesto, per noi, non sarà più un momento fermato del dinamismo universale; sarà, decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale. Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Nei quadri di velocità, le automobili procedono sempre da destra verso sinistra e gli spessori dell’atmosfera si ingrandiscono nella stessa direzione (in forme circolari o diagonali). Fedele a una osservazione scientifica, Balla sa bene che lo sguardo dello spettatore entra nel quadro (almeno nel mondo occidentale) da sinistra verso destra. Nella tavola del Museo americano - Automobile + vetrine + luci, ci troviamo difronte alla rappresentazione degli “effetti della riverberazione luminosa in una resa di contrasti fusionali dell’energia che regolano la vita stessa della materia”. L’automobile corre per via Nazionale o per via Veneto e i fari dell’auto si scontrano contro una vetrina presumibilmente illuminata da un addobbo natalizio: al centro della tavola, infatti, una disgregazione luminosa dei colori primari si espande fino a scomparire nella luce. Movimento = luce : velocità + luci. Nell’aprile 1913, il Pascazio annota che Balla sta elaborando un quadro “rappresentante via Nazionale nella esuberanza e grandezza del tumulto veicolare”. Parallelamente invece la Velocità di automobile + luce realizzata a tempera su carta rossa permette di evidenziare l’uso della biacca come “diagramma astratto della luce di un faro riflessa nella vetrina e la successione dinamica, altrettanto astratta, dello spostamento dell’automobile sintetizzata nelle linee verticali della cabina”. E ancora, la luce viene come trasfigurata con l’uso della lamina d’oro nella carta intitolata Forme rumore, come nel piccolo lavoro dal titolo Penetrazione dinamica dell’automobile, dove il movimento dell’automobile in corsa viene rappresentano proprio da una serie di triangoli che ne indicano la penetrazione nell’atmosfera, nello spazio: Tutto si astrae con equivalenti che dal loro punto di partenza vanno all’infinito. Compenetrazioni astratte di volume, armonia dinamica, leggiamo in un taccuino di Balla.
   E arriviamo alla luce solare nel ciclo che Balla dedica al passaggio di Mercurio davanti il sole: siamo al 1914. Circondato dagli affetti familiari (il 30 ottobre 1914 nasce la secondogenita Elica), in piena Guerra Mondiale, Giacomo Balla continua a dipingere osservando gli eventi naturali. Il 7 novembre 1914 il pianeta Mercurio passa davanti al sole: l’evento20 diventa la fonte di un ciclo sperimentale dal titolo Mercurio che passa davanti il sole visto dal cannocchiale. «Il motivo di partenza è ispirato alla realtà, al positivismo della scienza: l’eclisse solare parziale provocata da Mercurio nel 1914. La luce quindi non è ricostruita a freddo ma vista nel momento in cui è un fenomeno naturale: proprio come il crepuscolo o il tramonto delle prime opere, proprio come l’arcobaleno che è il tema-base delle Compenetrazioni. I motivi compositivi della serie di Mercurio sono almeno due: il vorticare allude chiaramente a un’elica (ricordiamo ricerche di questo periodo come Eliche in movimento - moto girante), mentre l’interesse spaziale è già negli studi di Spessori di atmosfera e di Orbite celesti. Balla studia il movimento nella stratosfera gassosa, come prima studiava l’atmosfera; ritrova il valore del cosmo con vortici e piani secanti, in cui la luce si unisce al movimento».
   Risale al 1912 il primo interesse di Balla per l’abito futurista: è a Dusseldorf ospite dei Lowenstein, progetta una giacca senza risvolti e senza collo con un unico bottone e ne parla in un a lettera alla famiglia, i miei vestiti hanno fatto un vero furore…24. Visita la famosa Esposizione della Moda a Colonia dove nella sezione dedicata alle arti applicate (Kunstgewerbliche Arbeiten) sono esposti ricami, gioielli, rilegature di libri, stoffe stampate, accessori…Tornato in Italia, tra il 1912 e il 1913 Balla sviluppa motivi per stoffe riconducibili alle tematiche della sua pittura (linea di velocità, forme-rumore, volumi compenetrati): l’11 settembre 1914 esce il manifesto futurista Il vestito antineutrale con gli 11 punti di come devono essere gli abiti futuristi e i disegni dei modificanti guerreschi e festosi di Balla. «Nel manifesto per il ‘Vestito anti-neutrale’ parla di stoffe fosforescenti che possono correggere il grigiore del crepuscolo nelle vie e nei nervi. Ma nella prima versione (inedita) del manifesto gli abiti erano addirittura ornati di lampadine elettriche». Nel manifesto è sottolineata l’importanza e la necessità che gli abiti futuristi siano: «6. Gioiosi. Stoffe di colori e iridescenze entusiasmanti. Impiegare i colori muscolari, violentissimi, rossissimi, turchinissimi, verdissimi, gialloni, aranciooooni, vermiglioni. 7. Illuminanti. Stoffe fosforescenti, che possono accendere la temerità in un’assemblea di paurosi, spandere luce intorno quando piove, e correggere il grigiore del crepuscolo nelle vie e nei nervi». E ancora, proprio sulla scia della luce non si può tralasciare - anche se solo un accenno - la messa in scena per Igor Strawinsky dello spettacolo Feu d’artifice il 12 aprile 1917 al Teatro Costanzi di Roma: «Giacomo Balla, il pittore futurista italiano, ha ideato e sta ora ponendo in esecuzione una proiezione scenica interamente senza precedenti. Il sipario si aprirà. Appariranno sul palcoscenico non scenari dipinti né persone, ma niente altro che delle forme soltanto… organate secondo una bizzarra architettura alogica e, nel senso proprio della parola, eccentrica, proietteranno sulla scena ombre e luci asimmetriche, in corrispondenza con gli accordi enarmonici dello Strawinsky. Continui e forti giochi di luce e sbattimenti d’ombre variate, raggi colorati di riflettori elettrici potentissimi, imprimeranno espressione di mutevole dinamica alla statica dell’apparecchio acustico».
   Nel 1924 la famiglia Balla - che abita dal 1904 nella casa-convento ai Parioli tra via Nicolò Porpora e via Paisiello - riceve dal figlio del ‘Proprietario’, l’ingegnere Adolfo Sebastiani lo sfratto. In seguito alla morte improvvisa del Sebastiani, passa tutto in mano agli avvocati i quali nel mese di maggio del 1926 fanno giungere a Balla «istanza di sfratto dell’appartamento al secondo piano della casa in Roma, Via Paisiello 37 […] che gli istanti debbano procedere alla sistemazione definitiva del quartiere e che a tal scopo occorre demolire il fabbricato in parola. Roma 26 maggio 1926, il Cancelliere…». È di questo momento un altro ritratto dove l’atmosfera viene creata proprio dalla compresenza del fumo con la luce elettrica: stiamo parlando della Bionbruna30 dove la consistenza delle perle al centro della tela che vengono a fondersi con il fumo che discende dalla sigaretta accesa tenuta in alto dalla signora Alatri, è una vera sinfonia di luce e movimento. Scrive Elica Balla: «…la signora [Alatri] era bella e mio padre la ritrasse vestita di nero un po’ scollata con un magnifico effetto di chiaroscuro: ritratto vasto di pennellata e modernissimo. Ricordo che la signora cambiava spesso il colore dei capelli e da questo fatto nacque il quadro futurista La Biombruna [sic]; un dipinto originale tutto diverso dalle tinte piatte e dai colori forti della maggior parte dei quadri futuristi. Nella Biombruna [sic] definitiva era rappresentata la inconsistenza della vita mondana, la signora si scorge di faccia e di schiena ma diluita quasi dai riflessi di oro pallido degli specchi e dai grigi argentei dell’ambiente mentre la tecnica pittorica è costituita da velature trasparenze e sfumature quasi che Balla volesse valersi di tutti gli studi precedentemente fatti in quegli ultimi anni sulle trasparenze dei veli in cui posava mia sorella e con questo lavoro volesse iniziare un raffinamento della pittura futurista che lui riteneva essere ancora troppo dura e primitiva».
   Nel giugno del 1929, Giacomo Balla con la sua famiglia tutta al femminile (la mamma Lucia, la moglie Elisa e le due figliole Luce ed Elica) si trasferisce nell’abitazione romana di via Oslavia 39b, una casa popolare che gli viene assegnata grazie all’interessamento dell’amicocritico Michele Biancale: «la casa fu arredata alla meglio, lo studio in principio ospitò prevalentemente i quadri futuristi, alcuni attaccati e altri appoggiati alle pareti». Sempre col pennello in mano e lo sperimentalismo nel cuore, Balla vi resterà fino alla morte, avvenuta il 1 marzo 1958. L’attività artistica è sempre più frenetica e va di pari passo con le esposizioni: presenta 20 opere figurative alla Mostra del Centenario della Società Amatori e Cultori mentre ben 52 sono i quadri della mostra antologica organizzata dalla Galleria del Dipinto (Roma 1930). «Considero il pittore Giacomo Balla come il tipico genio torinese. Infatti, coll’ampio ordine geometrico e l’operosità tenace che caratterizzano la capitale del Piemonte, Balla organizzo e militarizzò la sua tumultuosa potenza creatrice. A 25 anni, stabilitosi a Roma, non subisce l’atmosfera languida e le nostalgiche ceneri gloriose. Sua madre, intelligente e ferrea popolana, seduta vicino al cavalletto, vigila perché la fragranza dei giardini non rallenti il suo scattante pennello: con tenacia piemontese suo figlio deve fissare sulla tela tutte le magie della luce romana. […] Balla, massimo pittore d’oggi, rassomiglia forse ad una nuvola temporalesca irta di folgori o meglio ad un ciclone che da l’assalto ai ruderi. A volte m’apparve come uno stregone negro di Rio de Janeiro educatore di pappagalli policromi». Sul quotidiano “L’Osservatore Romano”, il Guida scrive: «I ritratti sono ammirevoli esempi di studio. […] Profonda è l’indagine che si palesa a chi sappia discernere la verità realistica da quella dell’essenza. È dell’Ottocento ed è di domani; continua il filone d’oro della miniera che nasce dalla verità naturale animata dal mistero della creazione, perpetua l’ansia che è nell’uomo designato. Il pittore lo ripete spesso: la visione è chiara, la verità è presente. Egli è giunto dopo lunghi anni di nobile tirocinio alla conoscenza della forma e della luce, a esprimere questa in armonia con dignità plastica preziosa. I maestri di Balla sono: la verità la tenacia l’amore. […] Balla pittore, quando si accorse che la strada che percorreva non offriva più risoluzioni, mutò il suo andare, e fu più solo, ma fu meglio per lui, principalmente fu più giovane nei tempi, e non meno sapiente negli animi».
   È il 1929 quando la luce torna ad essere la protagonista del suo ‘ritorno alla realtà’: attraverso l’analisi della luce artificiale e dei veli dentro il suo soggiorno, Balla crea delle vere e proprie poesie di luce movimento, arrivando anche a sfruttare il… fumo. Ricordo, per esempio, Sigarette che ardono36 del 1933 dove Mignolina con l’avvocato vengono ritratti insieme: «Si siedono nello studio, guardano i quadri, fumano, parlano, hanno lo stesso fondo futurista del secondo ritratto della contessa Frontoni, basta che l’avvocato si giri un poco perché tutto entri bene nel quadro che papà traccia sulla tavola già preparata». Nel 1938 un altro quadro con la Sigaretta che arde dove la signora ritratta, Maria Fiocco, fuma la sigaretta tenuta con la mano destra: al suo lato il Mobiletto del fumo, realizzato da Balla nel 1915, dove viene appoggiata la cenere. Scrive Elica Balla: “…lo dipinse con un riflesso di luce elettrica, la signora non era molto fine ma le luci della stoffa di seta che si era drappeggiata sul corpo, come fosse un vestito, appassionavano mio padre che rese quella seta con grande maestria”. Il fumo come strumento pittorico è presentato da Elica Balla quando parla del quadro Inverno del ciclo delle Quattro stagioni in rosso: la ritratta è la giovane Giuliana, dipinta in rosso con gli attributi delle stagioni. Scrive Elica: «Per il quadro dell’inverno, papà vuole che si fumi per rendere più azzurre le ombre; ora si appassiona per rendere lo splendore dei rossi valorizzato dalle profonde e forti ombre. La mamma si raccomanda di non far stancare la ragazza, ma Giuliana sorride, è forte e resiste bene alle due ore di posa». Non passano che pochi mesi, che troviamo Balla intento a ritrarre il vecchio postino di via Paisiello41, il roseo e rubicondo Chiappelli. Si legge dietro la tavola, Dipinto durante la guerra il giorno 10 giugno 1940 e il titolo Fumo Caffè di Balla: infatti, alle spalle del Chiapelli intento a fumare, Balla si auto-ritrae con l’Autocaffè. E per finire, la firma Balla posta in alto nel fumo che parte dai pennelli sottostanti.
   La luce è sempre stata - quindi - la costante nell’arte di Giacomo Balla. Anche quando si trasferisce al IV piano del condominio di via Oslavia riesce a catturare la luce e con i pennelli trasferirla nelle sue opere. Lo troviamo nel 1946 sulla terrazza del condominio con il pennello in mano e i gigli rossi alle sue spalle: proprio dietro la sua testa partono le linee del palazzo dove si riflette la luce solare andando ad illuminare tutta la tavola42. Elica Balla molto bene esprime questa ricerca del padre nel trovare la nuova luce per dipingere anche da via Oslavia: «queste due stanze adibite a studio non erano proprio adatte per la luce che vi penetrava, troppo forte al mattino e nel pomeriggio v’era una luce falsa rimandata dalle cose di fronte in pieno sole; non era certo la dolce luce che filtrava dagli alberi di Valle Giulia o quella della aperta campagna di via Paisiello: qui era una luce dura che non abbelliva i volti per cui, anche per questa ragione, in alcuni ritratti eseguiti nella casa di via Oslavia le figure sono poste dall’artista controluce. Questo fatto della luce dura che non dava morbidezza negli effetti pittorici è molto importante, nel giudicare l’opera di un pittore un critico si può facilmente ingannare attribuendo la durezza dell’effetto pittorico a ragioni sue cervellotiche e lontanissime da questa realtà che per un pittore verista ha grande importanza. Comunque lui sempre trovava un effetto da studiare, una ricerca appassionante da approfondire, il lato interessante nella cangiante visione del vero».
   E per concludere questo mio excursus sulla luce nell’arte di Giacomo Balla, vorrei riprendere una nota di Maurizio Fagiolo: “Prima di tutto Balla comincia a rappresentare la luce con evidenti simboli ottici: la piramide, l’obelisco, il raggio. […] poi si interessa alla luce negli arredamenti che in qualche caso si amalgamano secondo linee forme e colori in funzione d’una luce segreta e sorprendente che diviene anch’essa linee-forma- colore. Luce funzionale ma anche luce che ha per fine la meraviglia. Poi vuole suggerire la luce attraverso tramiti esterni. Per esempio, in Velocità d’automobile e in Plasticità di luci dipinge direttamente su carta dorata. In Velocità d’automobile + luce dipinge a olio su carta rossa. […] Arriverà più tardi a comporre quadri sul semplice tema della parola LUCE. Saranno forse omaggi alla figlia, ma anche quel nome non sarà nato per caso…”44. E Balla non si ferma agli anni Venti ma superando proprio la chiusura dell’appartamento di via Oslavia, va oltre, e trova sempre un effetto luminoso nuovo da dipingere e se non esiste lo costruisce essendo proprio uno sperimentalista che nel 500 amava chiamarsi Leonardo….








HELIOS

dalla luce alla luce


   “Dalla luce alla luce” vuole essere un omaggio in chiave contemporanea al lavoro di Giacomo Balla ed ai suoi affascinanti studi divisionisti sulla natura della radiazione luminosa artificiale. A più di un secolo dal concepimento della famosissima opera “Lampada ad arco”, in un segmento di tempo dove si vorrebbe recuperare e riciclare ogni materia, mantenendo i livelli di inquinamento prossimi ad un impossibile ed irraggiungibile zero, nasce, da un’equipe di artigiani “Helios”, un prototipo ideato da Marco Ricci per la mostra “Balla, dalla luce alla luce”, organizzata della Galleria Futurism & Co. di Roma.
   Assemblato lontano dalla serialità tecnologica, ma più vicino all’etimologia ancestrale di una parola, che scomposta a sua volta nella lingua dei padri significa, per l’appunto, qualcosa di strettamente riferito alla creazione estetica/estatica (dal greco tékhne-loghìa, cioè letteralmente “discorso sull’arte”), in HELIOS convivono materiali di ricercata origine organica, (come policarbonati, silici e litio, tutti reperiti sul mercato web) e tecniche meccaniche di assemblaggio; secondo un’idea tridimensionata di “luce”: una macchina che produce e restituisce a chi guarda, un gioco di variazione di luce e colori; secondo l’idea futurista di una luce che si scompone nelle sue componenti basiche.
   Per illustrare i passaggi utilizzati per la realizzazione di questa macchina creatrice e portatrice di luce, partiamo dalla fonte dell’energia che risiede nel posizionamento di piccoli pannelli fotovoltaici, capaci di catturare la luce del sole; ma anche e soprattutto, pur se in quantità minore, quella di tipo artificiale presente nell’ambiente circostante, e proveniente da altre fonti luminose.
   Gli stessi pannelli fotovoltaici servono da guscio contenitore per le parti elettroniche, e da struttura portante per gli elementi radianti della luce.
   Una centralina per la gestione dei Led RGB, pilotabile con un telecomando ad infrarossi, ed eventualmente anche tramite APP da smartphone, serve come interfaccia di utilizzo.
   Le batterie, con tecnologia al litio, provvedono ad immagazzinare l’energia catturata, per poi restituirla sotto forma di luce.
   La fonte della luce è realizzata mediante singoli LED RGB, elementi capaci di generare e miscelare i tre colori primari: il Rosso, il Verde ed il Blu.
   Le barre di plexiglass trasparente, opportunamente dimensionate e lucidate, hanno il compito di trasmettere la luce verso l’alto, regalando piacevoli giochi luminosi con miscellanza di colori; nell’ idea, che già fu di Giacomo Balla, che dimostrò con le sue opere che vi era della bellezza anche nell’emissione luminosa di una lampada industriale.
   Anche il supporto da tavolo, formato da quattro cubotti in plexiglass attraversati da una barra di acciaio Inox, recuperato da un ammortizzatore di derivazione automobilistica, conferisce ad HELIOS la leggerezza e l’importanza di una macchina di luce; come il cocchio che l’antico auriga degli dei spingeva a folle velocità mentre traghettava da un luogo del mondo all’altro, la luce rigeneratrice del sole.
   Fedeli all’idea che contempla l’effettivo ed esclusivo utilizzo ed il riciclo di materiali di risulta, quale occasione migliore che concepire la costruzione del tavolo dove posizionare HELIOS con elementi trovati rovistando nel mucchio del ferro vecchio ed arrugginito? Nasce così il supporto da pavimento in ferro riciclato e rivitalizzato mediante spazzolatura con utensili abrasivi. Lo stesso supporto, trattato con un materiale decapante per bloccare la formazione della ruggine, è stato poi verniciato con un prodotto trasparente.
   Come funziona HELIOS: La luce del sole e quella artificiale (anche se in minima parte) contribuiscono tramite i pannelli fotovoltaici a generare energia elettrica. L’energia generata serve a caricare la batteria al litio, munita di sistema elettronico di controllo “carica e scarica”.
   Il circuito in questione regola la produzione del flusso elettrico in modo direttamente proporzionale alla HELIOS luce presente nell’ambiente.
   Si evita così che durante la carica si oltrepassino soprattutto i limiti superiori di tensione (ma anche quelli inferiori), e che si attivi un processo chimico che andrebbe a distruggere o ridurre l’autonomia e la vita della batteria stessa.
   La batteria, che ha una capacità di 4 ampere a 12 volt, è sufficiente per poter utilizzare HELIOS in qualsiasi momento; anche al buio!
   L’utilizzo della batteria è fondamentale per il funzionamento della macchina: allo stesso modo delle apparecchiature presenti nella stazione orbitante internazionale ISS, sarebbe impossibile per HELIOS ottenere energia sufficiente ad alimentare in maniera continuativa i suoi circuiti con la sola energia prodotta dai pannelli e senza l’utilizzo di un accumulatore.
   L’energia immagazzinata verrà successivamente distribuita alla centralina di gestione LED RGB con una tensione nominale di 12 volt, il funzionamento è garantito fino a 10 volt circa, che equivale ad un tempo operativo di circa 24 ore in totale assenza di luce.
   La centralina purtroppo ha comunque un minimo assorbimento fisso, dovuto al fatto che il dispositivo Wi-Fi è sempre in ascolto e pronto a ricevere istruzioni dall’apposita App per dispositivi mobili, sia Android che Ios. Il software è molto semplice da utilizzare e consente una miriade di combinazioni di giochi di luce e varie temporizzazioni selezionabili a piacimento.
   È possibile effettuare una connessione diretta locale per la gestione, ma volendo, il dispositivo accetta una qualsiasi rete Wi-Fi alla quale associarlo; il che, permetterà di comandarlo anche da remoto.
   L’uscita RGB della centralina comanda i rispettivi LED RGB connessi in parallelo tra di loro ma calibrati con delle resistenze di valore differente: ogni colore ha una sua percentuale di “drogaggio” e quindi una risposta di efficienza luminosa diversa tra i tre colori.
   In HELIOS gli otto LED RGB sono montati su un supporto plastico mediante porta-led lenticolari, in modo da essere allineati con precisione sotto ogni profilo di plexiglass interessato a proiettare la luce generata, verso l’alto.
   Le barre di plexiglass, solitamente lunghe un metro, sono state tagliate a misura di progetto e lucidate sui due lati. La procedura ha richiesto molta pazienza; sono serviti diversi passaggi con carte abrasive di differente grana per poi concludere con la lucidatura a completa trasparenza, utilizzando una mola con un panno emulsionato di pasta lucidante molto fine.
   L’accoppiamento delle due superfici solari è garantito da dadi in acciaio inox, mentre in basso sono state utilizzate delle barre tonde da 10 mm che servono da supporto per il basamento di plexiglass; anch’esso tagliato e lucidato a mano.
   Il serraggio nella parte bassa è stato realizzato con dei cilindri in acciaio inox inseriti sulla barra tonda che fa da supporto e dei grani laterali che provvedono al bloccaggio.
   Questa è, nella pratica, la componentistica e l’utilizzo dei materiali necessari a realizzare HELIOS.








Balla e la luce

Tra onde e quanti


   Negli anni a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, una serie di pubblicazioni permisero di rivoluzionare il pensiero scientifico, affermando che la luce è un’onda costituita da un insieme di particelle in movimento in grado di interagire con la materia e di modulare la nostra percezione della realtà.
   La teoria elettromagnetica, proposta da J.C. Maxwell alla fine del XIX secolo, definì una serie di equazioni che permisero di unificare i fenomeni elettrici, magnetici ed ottici, sino ad allora considerati indipendenti, consentendo, tra le altre cose, di comprendere che la luce è una propagazione contestuale di un campo elettrico e uno magnetico, cioè è un’onda elettromagnetica.
   Successivamente, nel 1900, M. Planck sviluppò la teoria quantistica, dimostrando che ad ogni singola onda elettromagnetica è associato un determinato e caratteristico valore di energia, trasmessa da pacchetti discreti detti quanti o fotoni. La luce quindi non è altro che una piccola porzione dell’intero spettro delle onde elettromagnetiche, che spaziano dalle onde radio ai raggi X, ed è costituita da fotoni di diversa energia che noi percepiamo come i singoli colori dell’iride.
   Infine, l’interpretazione dell’effetto fotoelettrico, cioè l’emissione di elettroni da superfici metalliche colpite da una specifica radiazione elettromagnetica dello spettro luminoso, sviluppata da A. Einstein nel 1905, dimostrò come i fotoni, muovendosi ad elevatissima velocità, possono interagire con la materia trasferendole l’energia che trasportano e modificandone eventualmente la struttura.
   Questo scenario della “nuova fisica” della radiazione luminosa, lungi da essere una semplice evoluzione della tradizione, rappresentò una crisi profonda e drammatica, riunendo in un unicum indissociabile i concetti classicamente distinti di materia ed energia.
   La rivoluzione del modo di interpretare e comprendere la luce, unitamente alla nuova concettualizzazione dello spazio-tempo con il relativo superamento della meccanica newtoniana e della geometria euclidea, si estesero trasversalmente in tutta l’Europa, con un enorme impatto non solo sulle scienze positiviste ma piuttosto in ogni genere di espressione culturale, dalla letteratura alla pittura, dalla scultura alla musica.
   L’avanguardia artistica futurista incarnò in modo appassionato i nuovi “valori” scientifici statuendo fin dalla pubblicazione del suo primo manifesto che «Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente».
   In questo clima, la pittura futurista prese ad investigare con estremo interesse la costituzione della luce, materializzandone la natura ondulatoria e corpuscolare ed esaltandone l’interazione con la materia, responsabile della nostra percezione della realtà.
   L’ossessiva centralità della luce per Giacomo Balla è riflessa dal fatto che egli arriva a ribattezzare Luce la figlia Lucia.
   Egli, nelle sperimentazioni artistiche sui fotoni, esplicita e visualizza il “pensiero nuovo”. Nella serie delle compenetrazioni iridescenti (1912), l’utilizzazione prevalente di colori puri echeggia chiaramente i livelli energetici definiti attribuiti da Plank alle differenti radiazioni dello spettro luminoso; in Lampada ad arco (1909-1911), come descritto dallo stesso Balla in una lettera ad Alfred Barr «… il bagliore della luce è ottenuto mediante l’accostamento dei colori puri. Quadro, oltre che originale come opera d’arte, anche scientifico perché ho cercato di rappresentare la luce separando i colori che la compongono... ». Colori ed energia.
   In alcune altre opere del 1913, come Linee di velocita + luce rumore, Velocità di automobile + luci e Velocità + luci, la vorticosa intersezione di linee ondulatorie partecipa all’osservatore la piena percezione di quanto Balla avesse interiorizzato la concettualizzazione elettromagnetica del fascio luminoso come onda rapidamente espandentesi nello spazio, così come proposto da Maxwell.
   L’interazione della luce con la materia, magistralmente dimostrata negli esperimenti sull’effetto fotoelettrico, è responsabile della percezione soggettiva della realtà e suscita reazioni primordiali che Balla rappresentò con intensa emotività. In Compenetrazione iridescente radiale (1913-1914) ogni soggetto definito è sacrificato a ricreare l’atmosfera che si genera nell’osservatore a seguito dell’interazione della luce con un prisma; in tal modo, Balla preconizza con un secolo di anticipo le attuali conoscenze che legano le qualità spettrali della luce alla modulazione del cervello emozionale, attraverso meccanismi sconosciuti e reti neurali non ancora caratterizzate.
   In questa e altre opere, la modernità “scientifica” di Balla emerge anche dalla rappresentazione della tracimante energia della luce mediante forme parcellizzate di colori puri che si espandono esplosivamente. Un simile “handling” dei colori e delle forme attesta come Balla avesse intuitivamente superato la dottrina dei canali nervosi retinici separati di Cajal (1893) anticipando, con lungimirante emozionalità artistica, quella diffusione laterale dei segnali all’interno della retina che sarebbe stata dimostrata sperimentalmente solo nella seconda metà del novecento.
   Onde e particelle… materia ed energia… energia e neurofisiologia dell’emozione. Balla è permeato capillarmente dai nuovi concetti della scienza e trasferisce nella sua arte l’energia luminosa da poco scoperta a sottolineare la distanza tra “vecchio” e “nuovo” che avrebbe animato le drammatiche serate futuriste alla vigilia della grande guerra.







SEZIONE 1

Soluzione ricerche divisioniste
(luci, ambiente - psiche)










La Costellazione di Orione (lato 2), 1910













Villa Borghese con statua, 1905 ca













Affetti (studio), 1910













Ritratto di Angelo Sommaruga, 1898












SEZIONE 2

Raggi di Rontgen e loro Applicazioni










Studio di giacca da Uomo-Autoritratto (lato 1), 1912 ca












Fronte  Retro

Compenetrazione iridescente, 1912 (fronte e retro)












Fronte  Retro

Compenetrazione iridescente, studio (lato 1 e lato 2), 1912 ca













Studio di Compenetrazione iridescente, 1912 ca















Studio di Compenetrazione iridescente, 1912













Compenetrazione iridescente, studio, 1912 ca













Complesso plastico colorato di frastuono + velocità, 1914 ca













Velocità d’automobile + luci, 1913 ca













Automobile in corsa, 1913 ca













Spazio + velocità, 1913 ca













Velocità + Luci, 1913 ca













Velocità + rumore (Motivo per stoffa), 1913













Velocità + paesaggio, 1913













Linea di velocità + cielo + rumore, 1913 ca













Linea di velocità + paesaggio + rumore, 1913 ca













Linea di velocità + paesaggio, 1913













Linea di velocità + forme rumore, 1913 ca













Linea di velocità + vortice, 1968












SEZIONE 3

Ho già creato una nuova sensibilità nell’arte










Arturo Bragaglia
Ritratto di Giacomo Balla “All’agguato dell’opera d’arte”, 1914 ca













Mercurio passa davanti al sole visto nel cannocchiale N.3, 1914













Rumoristica plastica Baltrrr, 1914













Rumoristica plastica Baltrr, 1916













Folla + paesaggio, 1915













Forme grido W L’Italia, 1915













Paesaggio + velo di Vedova, 1916













Insidie di guerra, 1915













Colpo di fucile domenicale (Lato 1), 1918













Dopo l’operazione (Cartolina), 1918a













Linee forza di paesaggio + esplosione, 1918 ca













Trasformazione forme spiriti, 1918 ca













Velombra, 1919












SEZIONE 4

Idealismo Ottimismo Forme Pensiero










Plasticità spaziale, 1918













L’idea, 1920 ca













Numeri simpatizzanti, 1924 ca













Dramma di paesaggio, 1926 ca













Studio di ballerini per Il Bal Tic Tac, 1921













Donna seduta + spazio, 1918 ca













Nudo + spazio, 1918-20












SEZIONE 5

Daremo scheletro e carne all’invisibile










Linee andamentali, 1936 ca













Linee spaziali n. 9, 1929 ca













Linee spaziali + Balfiori - foglio 3, 1925 ca













Una camera da letto, 1912-14













Linee spaziali - paralume 1918 ca













Figura + spazio - paralume 1918 ca













Studio per mobile futurista (Mobile Smontabile), 1920 ca













Compenetrazioni spaziali, 1915-16













Progetto per paravento, 1916 ca













Linee spaziali n. 3, 1929 ca













Dinamismo andamentale - foglio 4, 1925 ca













Progetto per paravento futurista, 1914 ca













Balfiore - progetto per fiore futurista, 1918-1920













Linee spaziali (studio), 1920 ca












SEZIONE 6

L’artista dopo che ha lavorato deve sentirsi stanco, eccitato…










Autoritratto, 1947













Il Giocondo, Uomo giocondo, Fumo caffè, 1940













Pallore mondano, Fine di passione, 1940

















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Martedì - Sabato: 11.30 - 19.30
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