Lima

FUTURISMO y VELOCIDAD

La velocidad en la tierra y en el cielo


LIMA , Museo de Arte Italiano

6 giugno – 6 agosto 2017


A cura di Maurizio Scudiero







APPUNTI SU FUTURISMO, VELOCITÀ E MODERNITÀ
Maurizio Scudiero
Curador del Archivo Depero

Premessa
   Il Futurismo ha superato da pochi anni il secolo di vita, nel 2009.Ideato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti con l’intento di “svecchiare” la cultura italiana del primo ‘900 fu, all’inizio, un movimento poetico, di lì a poco anche artistico, ed inseguito globale. La parola d’ordine era lo “slancio” verso il Futuro (appunto) e, conseguentemente, il “taglio netto “con il Passato. In questa semplice equazione risiedono dunque gli elementi peculiari e d’indirizzo dell’attività futurista. Amore per le nuove tecnologie, per l’aspetto meccanico della vita, per la conquista della velocità, per la libertà dei costumi, per la liberazione dalla sintassi, in letteratura, e dalle regole della prospettiva, in pittura. Inoltre, odio per tutto ciò che rappresenta il passato e le istituzioni che lo conservano e lo rappresentano, quali i musei, le biblioteche e le accademie.

FUTURISMO E PERCEZIONE DEL PROGRESSO

   Ci si è spesso soffermati sugli antecedenti letterari del Futurismo, ma in realtà poco sugli evidenti influssi del cosiddetto Progresso che proprio sullo scorcio tra ‘800 e ‘900 stava avanzando a passo veloce. Da qualche anno l’ambiente scientifico era più che mai attivo.
Nel 1892 Heinrich Nel 1892 Heinrich Rudolf Hertz aveva pubblicato le sue ricerche sul telegrafo senza fili (Untersuchungen über die Ausbreitung der Elektrischen Kraft) poi perfezionate da Marconi nel 1896, mentre Hendrik Antoon Lorentz nel 1893 aveva annunciato la teoria dell’elettrone (La Théorie electromagnetique de Maxwell et son application aux Corps Mouvant). Quindi, nel 1895 Wilhelm Conrad Röntgen aveva scoperto l’uso de raggi X (Über eine Neue Art von Strahlen), mentre del 1897 era stato l’annuncio, come si conveniva alle ricerche scientifiche, della scoperta del cinematografo ad opera dei fratelli Lumiére, peraltro già attivo dal 1895 (Notice sur le Cinématographe), e, nello stesso anno anche quello dei raggi catodici, ad opera di Joseph John Thomson (Cathode Rays).
Proprio allo scoccare del nuovo secolo, nel 1900, Max Planck aveva pubblicato la sua teoria dei Quanti (Zur Theorie des Gesetzes der Energieverteilung im Normalspectrum), e infine nel 1903 Henri Bequerel pubblicava i suoi studi sulla radioattività (Recherches sur une Propriété nouvelle de la Matiére... ou Radioactivité de la Matiére) e Marie Curie quelli sul Radio (Recherches sur le Substances radio-actives).
L’anno seguente, i fratelli Wright pubblicavano sul “Journal of the Aeronautical Society” di Londra il resoconto dei loro primi voli (The Experiments of the Brothers Wright) e infine, per compiere un salto al 1916, Albert Einstein relazionava il mondo scientifico sulla sua teoria della relatività (Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie).

   Per venire all’Italia, Mario Morasso sin dai primi del 1900 aveva pubblicato vari studi sul “nuovo aspetto meccanico della vita contemporanea”.
Insomma, i segnali di uno scarto brusco in avanti nella storia, non solo scientifica, del genere umano erano molti. Ed è appunto in questa congiuntura, crogiolo di varie tensioni scientifiche e culturali, che avviene un fatto determinante, di natura estetica ma con modalità espressive del tutto nuove che si andranno a proiettare ben oltre l’ambito artistico: il Futurismo.
Con queste premesse si comprende immediatamente come solo i futuristi potessero cogliere appieno le istanze di modernità insite genericamente nella scienza in senso lato, e in modo più immediato, nei nuovi aspetti meccanico-dinamici della società.

   Nel manifesto di fondazione del Movimento Futurista, pubblicato a Parigi su “Le Figaro” nel febbraio del 1909, il suo ideatore, Filippo Tommaso Marinetti, scriveva: «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa… ruggente, che sembra correre sulla mitraglia , è più bello della Vittoria di Samotracia».
Poi, nel manifesto La Pittura futurista, del 1910, sottoscritto da Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini, fu introdotta l’idea del “dinamismo universale” : «… tutto si muove, tutto corre… una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente… e per la persistenza dell’immagine sulla retina le cose in movimento si moltiplicano…».

   Insomma, con il Futurismo la pittura andava oltre i paesaggi, i ritratti e le nature morte, per divenire la pittura del movimento e della velocità. Ora, all’inizio, i soggetti privilegiati per questa pittura furono il cavallo, la bici, che comunque avevano una loro componente dinamica, ma ben presto furono soppiantati dalla motocicletta, dall’automobile ed e dal treno, per gli ovvi esiti delle loro componenti meccaniche, quali il rumore, cioè la vera “colonna sonora” della Modernità. Ma non solo.
L’ebbrezza di velocità + rumore era anche sinonimo di “sfida del pericolo”. Emblematica, a questo riguardo, la foto della potente auto di Marinetti rovesciata in un fosso per via dell’eccessiva velocità con cui il suo conducente, appunto lo stesso Marinetti, aveva affrontato una curva. E, uscito vivo da questa “sfida” Marinetti si ritenne un eroe, un eroe dell’era moderna, che era sopravvissuto alle insidie del “mostro meccanico”.
Sul piano strettamente artistico queste esperienze di velocità erano poi funzionali, specie per gli artisti, piuttosto che per i poeti futuristi, alla formulazione e all’affinamento della teoria del “dinamismo futurista” e a quella della “simultaneità”, che poi erano connesse fra loro. In altre parole, dipingere un oggetto che si muoveva veloce nello spazio non era dipingere l’oggetto “in quanto tale”, ovvero la sua forma, perché questa si sarebbe potuto dipingerla anche se fosse stato fermo… Si trattava piuttosto di dipingere le varie posizioni che l’oggetto assumeva avanzando nello spazio, un po’ come le foto stroboscopiche che Edward Muybrige e Marey avevano fatto sul finire del secolo XIX per studiare l’anatomia dei corpi in movimento.
E dunque, la pittura dinamico-futurista ritraeva “simultaneamente” le varie fasi del movimento di un corpo con immagini che si succedevano sulla tela, spesso compenetrandosi per creare un’immagine “nuova” che non era solo la somma di tutte le immagini precedenti, secondo la tipica visione ottica, ma, piuttosto, una nuova immagine ottenuta secondo una visione simultanea. Di qui i tanti dipinti di Balla denominati “linea di velocità di un’automobile” e quelli di Boccioni sul simultaneismo dei corpi in movimento. Per citarne uno: Dinamismo di un footballer. Di fatto, la visione simultanea fu come una sorta di grimaldello, per scardinare il vecchio e logoro senso della visione ottica, naturalistica, ed aprire la porta ad una nuova fase della pittura italiana, verso l’idea di astrazione, ovvero di una pittura non-oggettiva, non più legata ad un soggetto, ad un oggetto, ma che viveva di dinamiche tutte sue… dentro la pittura stessa, in rapporto unicamente con una nuova idea concettuale dell’arte.

   Questa sarà la stagione astratta che dal 1913 al 1916 vedrà impegnati i futuristi-astrattisti Balla, Depero e Prampolini. Mentre invece Boccioni, Carrà, Russolo e Severini rimarranno comunque ancorati ad un’idea di “figura”. Ma qui siamo andati “oltre”… quindi torniamo indietro al concetti di “Velocità”. Il teorico della velocità futurista fu Umberto Boccioni che nel suo fondamentale libro Dinamismo plastico, del 1914, codificò la sua visione teorica.

    Scrive Boccioni nel capitolo 10 (“Dinamismo”) che «il Dinamismo è l’azione simultanea del moto caratteristico particolare all’oggetto (moto assoluto), con le trasformazioni che l’oggetto subisce nei suoi spostamenti in relazione all’ambiente mobile o immobile (moto relativo).
Dunque non è vero che la sola decomposizione delle forme di un oggetto sia Dinamismo. Certamente la decomposizione e la deformazione hanno in sé un valore di moto in quanto rompono la continuità della linea, spezzano il ritmo siluettistico e aumentano gli scontri e le indicazioni, le possibilità, le direzioni delle forme. Ma questo non è ancora il Dinamismo plastico futurista… Dinamismo è la concezione lirica delle forme interpretate nell’infinito manifestarsi della loro relatività tra moto assoluto e moto relativo… E’ la creazione di una nuova forma… Questo succedersi… non lo afferriamo con la ripetizione di gambe, di braccia, di figure, come molti hanno stupidamente supposto, ma vi giungiamo attraverso la ricerca intuitiva della forma unica che dia la continuità nello spazio». In altre parole, secondo Boccioni va mutato il “senso della visione” per cui «un cavallo in movimento non è un cavallo fermo che si muove, ma è un cavallo in movimento, cioè un’altra cosa, che va concepita ed espressa come una cosa completamente diversa».
Per i futuristi, per Boccioni, si trattava in sostanza di concepire gli oggetti in movimento oltre al loro stesso moto. Ovvero di trovare una forma che fosse l’espressione di questo nuovo elemento assoluto che si chiama Velocità, la quale era il vero temperamento della Modernità. Marinetti, a sua volta, ne dava un’interpretazione più poetica, e sanguigna, quando parlava della sua automobile: «Non sono versi liberi ma parole in liberà i ruggiti del tubo di scappamento della mia centocavalli… Velocità crescente e impeto del motore che vuole strapparmi il volante dalla mani mie fragili di poeta… Nessuno davanti al mio slancio ed è un inaspettato lirismo che spalanca orizzonti, sbaraglia a destra e a sinistra caseggiati che il sogno sonno immensifica » ( da La grande Milano tradizionale e futurista, 1969: pag. 88).

    Secondo Gino Severini, il più “francese” dei futuristi, «la velocità ci ha dato una nuova nozione dello spazio e del tempo e per conseguenza della vita stessa. Niente di più logico che le nostre opere futuriste caratterizzino tutta l’arte della nostra epoca con la stilizzazione del movimento che è una delle manifestazioni più immediate della vita…» (in Le analogie plastiche del dinamismo – Manifesto futurista, 1913).
E in seguito anche Ardengo Soffici nel suo libro Primi principi di una estetica futurista (1920) si dilungava sull’influenza della velocità sulla visione artistica affermando, tra l’altro, che «dalla modificazione per mezzo della velocità fisica … della nostra percezione dello spazio e delle durata, risulta la contiguità e la contemporaneità di cose e fatti quali stimoli della nostra sensibilità».

   Come si può vedere, il “mito della velocità” s’intreccia indissolubilmente con il “mito della macchina” dando origine ad un modello anche estetico sul quale s’impegneranno, chi più chi meno, gran parte degli artisti futuristi. Si tratta di un percorso estetico, che potremmo definire della “velocità terrestre”, che si snoda dai primi anni Dieci del secolo scorso sin dentro ai Trenta, ma che già nel corso dei Venti si vede affiancato da una nuova visione, che poi si affermerà nel corso del Trenta, che, per converso, è quella della “velocità aerea”, che a sua volta più che ritagliarsi uno spazio diviene il nuovo corso del Futurismo sotto al nome di Aeropittura e le cui origini, in termini di riferimento tecnologico, risalgono però a ben prima della fondazione del Futurismo.
Infatti, quando, all’inizio degli anni Dieci, Marinetti “lanciava” i suoi primi proclami teorici e programmatici, i manifesti futuristi, le manifestazioni della fase pionieristica dell’aviazione erano già divenute popolari anche in Italia, richiamando sui prati di periferia delle principali città, ma spesso anche sulle case ed i campanili dei centri storici, migliaia di curiosi che con il naso all’insù ammiravano quelle prime, incerte, evoluzioni di apparecchi realizzati in legno di balsa, cartone e pelle.

   Dopo i voli dimostrativi di Delagrange, nel 1908, erano sorti un po’ dappertutto vari “concorsi” aerei, ovvero raduni con dimostrazioni ed evoluzioni definite “acrobatiche”: a Brescia nel 1909, a Milano, Verona, Firenze e Palermo nel 1910, a Torino nel 1911, solo per citarne alcuni. Così quei primi, traballanti, aeroplani ben presto soppiantarono anni e anni di tradizioni aerostatiche, e in un attimo i grandi e policromi palloni alla “Montgolfier” furono spediti in cantina. Tuttavia il Futurismo forse non era completamente pronto in questo slancio verso il cielo e verso il futuro, nel senso che in un primo momento tutto questo fervore aviatorio filtrò nel Futurismo quasi esclusivamente nell’ambito letterario, rimanendone invece la pittura pressoché indenne da ogni influenza, forse perché troppo impegnata, all’epoca, nella definizione di uno stile “proprio” e, all’esperienza vissuta della velocità terrestre dell’automobile o del treno.
Il Futurismo, infatti, nel suo bruciare tappe e tempi, spesso lanciava troppo avanti il sasso delle sue provocazioni, o delle sue invenzioni. Tra queste, appunto, la pittura futurista che fu annunciata ben prima che uno stile futurista vero e proprio fosse stato delineato sulla tela. Pensando invece a quelle poche yarde (40) di volo a bassa quota che Orville Wright percorse il 17 dicembre 1903, la prima cosa che torna nella mente è una frase ormai storica, ma di ben sessant’anni dopo, e cioè l’esclamazione di Neil Armstrong nel momento in cui stava per posare il suo piede sulla superficie lunare, il 20 luglio 1969: «Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità». Certo, si tratta di due situazioni completamente differenti: la prima a pochi metri da suolo terrestre, la seconda, invece, a circa trecentomila chilometri. Ma quello che intendo dire è che la “ricaduta”, non solo tecnologica, del primo avvenimento fu di una portata eccezionale per tutto il genere umano, mentre la seconda fu essenzialmente di ambito “strategico”, ed anche psicologico, nel momento in cui si era ancora in pieno clima di “guerra-fredda”.

   Quello che accadde là, sui prati di Kitty Hawk nel dicembre 1903, non fu solo la vittoria del “più pesante dell’aria”: non fu, in altre parole, solo un fatto tecnico-scientifico, proprio perché la sua eco immediata, diffusa in tutto il mondo a mezzo stampa, più o meno velocemente, innescò una serie di processi in più ambiti dell’attività umana. E uno di questi ambiti fu appunto il settore culturale ed artistico che accolse la notizia come l’ennesima conquista di un percorso “positivista”, identificato genericamente nel “Progresso”, che già sul finire dell’Ottocento agitava poeti ed artisti.
I toni avevano un ché di epico, eroico, ancora in pieno clima simbolista, e per questo motivo nei dipinti e nei manifesti murali di fine secolo le “conquiste” del progresso erano ritratte nelle fattezze di conturbanti bellezze vestite spesso solo di veli trasparenti che le avvolgevano voluttuosamente. E dunque anche artisticamente la dimensione del volo piuttosto che in ambito futurista rientrò ben presto in questa visione post-romantica, a volte melodrammatica, che nella pratica si risolveva nel consueto uso di copiosi cascami floreali tipici dello stile Art Nouveau, che in Italia fu ribattezzato “stile Liberty”.
I risultati, nei termini di manufatti d’arte o di grafica applicata, furono in questo senso più vicini alle suggestioni del Passato, anziché proiettarsi verso il Futuro, come la portata dell’evento avrebbe richiesto. Non si riusciva, in altre parole, a cogliere nell’immediatezza lo “strappo” con tutto quello che era stato “prima”, e che la nuova dimensione del volo portava in sé, proprio perché tutto l’ambiente culturale ed artistico mancava di adeguati “strumenti” di pensiero per giungere al cuore nel “nuovo che avanzava”. E, di fatto, la prima stagione futurista, che va dal 1909 al 1915, da un punto di vista pittorico fu essenzialmente Boccioni- centrica, nel senso che la prorompente personalità di Umberto Boccioni ne condizionò pesantemente uno sviluppo più polifonico. E Boccioni era più legato alla terra che al cielo.

   In ambito letterario, invece, la fantasia dei futuristi si concesse più e più volte al brivido del volo. Vari furono, ad esempio, i riferimenti aviatori nelle opere di F.T. Marinetti. Primo tra tutti Le Monoplane du Pape (L’Aeroplano del Papa), edito nel 1912 per il quale l’autore s’ispirò al raid Parigi-Roma di André Beaumont, dell’anno precedente. Il romanzo era in realtà un’opera irredentista, anti-austriaca, ed anticlericale, nella quale egli immaginava di volare sopra l’Italia per sollevare la popolazione contro l’Austria, che bombardava poi dall’alto. Non pago, rapiva poi il Papa per andare a gettarlo nell’Adriatico, realizzando così lo “svaticanamento” dell’Italia.

   Un altro grande scrittore futurista, Paolo Buzzi, già nel 1909 titolò Aeroplani i suoi “canti alati”, e qualche anno dopo, nel 1915, pubblicò L’Ellisse e la Spirale dove descrisse, in stile parolibero, il volo di possenti squadroni aerei. Luciano Folgore ne Il Canto dei Motori, del 1912, esaltò ulteriormente il nuovo aspetto meccanicistico dell’epoca moderna, mentre Enrico Cavacchioli in Cavalcando il sole, del 1914, raccontò invece di una lunga e “perigliosa” fuga in aeroplano.
Come detto, bisognerà attendere gli anni Venti per vedere un effettivo coinvolgimento del Futurismo nelle tematiche del volo. In quel periodo, infatti, presero l’avvio una serie d’imprese solitarie di aviatori italiani, di record di velocità, altezza, e distanza, che ebbero grande eco nell’opinione pubblica e che crearono un mito aereo italiano circondato da un’aura d’invincibilità, delineando anche l’idea di un’aviazione che primeggiava nel mondo e che veicolava l’idea di uno stato potente e moderno.

    Il regime fascista, che dal 1922 reggeva le sorti del paese, intuì subito le potenzialità del settore e già dal 1923 istituì l’Arma Aeronautica quale arma indipendente dall’esercito, un provvedimento che la vedeva seconda solo all’inglese Royal Air Force, istituita nel 1918. Nel 1925 sorprese tutti il raid di Francesco de Pinedo che con l’Idrovolante S16 percorse 55 mila chilometri attraverso l’Asia e l’Australia sino al Giappone e ritornò trionfalmente a Roma, dove ammarò sul Tevere. Due anni dopo, nel 1927, fu istituito anche il Ministero dell’Aeronautica (che sostituì il precedente Commissariato dell’Aeronautica creato nel 1923), con funzioni non solo militari, ma anche di sviluppo dell’aviazione civile e di promozione per diffondere una cultura aeronautica ed attrarre le giovani generazioni all’arruolamento.

    E’ in questo clima che cresce la seconda generazione di futuristi, nata cioè all’insegna della “liberazione dalla terra”. Fedele Azari, Fortunato Depero, Gerardo Dottori, Benedetta, Tato, Tullio Crali, Renato Di Bosso, Verossi, chi più chi meno, si ritrovarono spesso a volare, a “spiralare” sopra le città, ed a riplasmare così la loro “visuale” del mondo. Il loro taglio con il passato fu, simbolicamente, il volo di D’Annunzio su Vienna, nel 1918. La loro prima ispirazione, appunto le imprese degli aviatori italiani, da Laureati, a Ferrarin, a De Pinedo, a Balbo, che nel corso degli anni Venti mietono record su record, da quello di velocità, a quello di altezza, a quello della distanza. Il loro teorico, Fedele Azari, autore del manifesto Teatro Aereo Futurista, del 1919, pittore, aviatore, tombeur de femmes e pioniere dell’aviazione civile italiana.
E se da una parte bisognerà attendere la fine degli anni Venti perché l’idea di “aeropittura” abbandonasse la sua posizione periferica per divenire il vero cuore, motore, e di lì a poco anche il nuovo volto del Futurismo alla soglia dei vent’anni dal manifesto di fondazione, già nel corso del decennio vari segni premonitori, come una sorta di fil rouge, mostrano una generale adesione all’epica del volo: a iniziare dal Ritratto psicologico dell’Aviatore Azari che Fortunato Depero dipinge a Torino nel 1922 dopo aver volato a lungo sulla città con lo stesso Azari e Franco Rampa Rossi. Affianca, incoraggia ed aiuta questi giovani artisti attratti dal fascino del volo il pioniere dell’aviazione italiana Gianni Caproni. Nato ad Arco, in Trentino, ha studiato alla Scuola Reale Elisabettina di Rovereto, trovandosi sui banchi fianco a fianco con Depero, Luciano Baldessari, Fausto Melotti, Adalberto Libera ed altri futuri protagonisti dell’avanguardia italiana del ‘900. E Gianni Caproni comprende immediatamente che solo il Futurismo, in virtù del suo DNA, può entrare in sintonia e “sentire” il battito e lo spirito di un motore aereo, di una cabrata, di un’impennata, di una vite.

    Tutta l’altra pittura, al confronto è didascalica, narrativa, se non fotografica. E questo perché solo il Futurismo ha compreso, fra le tante, che la possibilità di un “nuovo punto di vista” che non fosse quello terreno, è anche la possibilità non solo di un nuovo “senso della visione”, ma anche di un “nuovo stato d’animo e di pensiero”. Dunque è un clima nuovo quello che percepiscono i futuristi che, per poter poi dipingere gli “stati d’animo del volo”, quegli stati d’animo li devono provare sulla loro pelle. E sia la sensazione psicologica che “filtra” poi nella loro pittura, quella sensazione che è propriamente la “percezione psico-fisica del distacco dalle contingenze terrene”, sia la nuova angolazione visiva della terra, dall’alto ed in movimento, sono due connotazioni specifiche della pittura futurista di quegli anni che conferiscono alle loro opere quel pathos che manca invece alla pittura di genere, sia pure di tema aeronautico.

    A chiudere il decennio con un’altra svolta epocale ci pensa F.T. Marinetti che con l’articolo Prospettive del volo e Aeropittura, pubblicato da “La Gazzetta del Popolo” di Torino del 22 settembre 1929, va a coagulare tutti questi sintomi in un vero e proprio manifesto programmatico. In seguito il testo fu più volte ripubblicato, anche come prefazione ai cataloghi delle mostre itineranti che dovevano promuovere l’Aeropittura, con l’aggiunta di altri punti teorici e delle firme di Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Prampolini, Somenzi e Tato, insomma dello stato maggiore del Futurismo del momento.
Ma la forza propositiva di questo documento teorico non risiedeva certo nelle firme a supporto quanto nei punti programmatici che andavano a scardinare il senso tradizionale della visione con proposte di un tecnicismo così analitico che era appunto il frutto delle effettive esperienze di volo degli artisti. Per riassumere, i primi quattro punti del manifesto (nella versione più completa del 1931) vertevano sulle mutevoli prospettive visive offerte dal volo, del tutto nuove e rivoluzionarie rispetto a quelle terrestri proprio per questa continua modificazione dei punti di vista che costringono il pittore a ulteriori sintesi e trasfigurazioni. Nei successivi cinque punti si analizzava il tipo di visione, affermando che «tutte le parti del paesaggio appaiono al pittore: schiacciate, artificiali, provvisorie, appena cadute dal cielo». Esse inoltre «accentuano agli occhi del pittore in volo i caratteri di: folto, sparso, elegante, grandioso». Si affermava inoltre che «ogni aeropittura contiene il doppio movimento dell’aeroplano e della mano del pittore».

    Il risultato finale doveva poi condurre ad «una nuova spiritualità plastica extraterrestre». Ecco, specie in quest’ultima definizione si può cogliere uno dei principali elementi d’interesse del manifesto. L’Aeropittura, in altri termini, fu il risultato di un’acquisita nuova sensibilità visiva. La terra andava osservata dall’alto e, cosa ancora più interessante, doveva essere osservata “dinamicamente”, dunque in una continua successione di visioni mutevoli. Tutto ciò il pittore doveva poi riversare sulla tela, ma aggiungendovi inoltre anche il “senso” di una nuova coscienza spirituale quale risultante psicofisica dell’affrancamento dalla “pesantezza” della condizione terrestre. E’ qui fin troppo evidente come queste proposizioni teoriche siano ben lontane da qualsiasi accento ideologico o politico, anzi esse mostrano un’urgenza, una pulsione, verso la ricerca di una “ulteriore” dimensione che ad un certo punto non sarà più né terrena, né aerea, ma propriamente cosmica. Si tratta di una nuova connotazione che, nello “strappo” dalle contingenze terrene, si scopre una vocazione anche mistica e “spirituale”, che sfocerà di lì a poco nell’Arte Sacra Futurista che vede il torinese Fillia in prima linea. Ma questa è un’altra storia.

    Ritornando ancora al Manifesto dell’Aeropittura, sarà interessante leggere alcuni degli esempi di possibili visioni che sono proposte: «Il decollare crea un inseguirsi di V allargantisi. Il Colosseo visto a 3000 metri da un aviatore, che plana a spirale, muta di forma e di dimensione ad ogni istante e ingrossa successivamente tutte le facce del suo volume nel mostrarle... Nelle virate, il punto di vista è sempre sulla traiettoria dell’apparecchio, ma coincide successivamente con tutti i punti della curva compiuta, seguendo tutte le posizioni dell’apparecchio stesso... Queste visioni roteanti si susseguono, si amalgamano, compenetrando la somma degli spettacoli frontali…». Il grande ventaglio operativo di queste proposizioni fu accolto con entusiasmo dalla terza generazione di futuristi.

    In breve tempo il termine Aeropittura divenne sinonimo di Futurismo, e ben presto crebbero anche l’Aeropoesia, l’Aeroplastica, e l’Architettura aerea. Nel corso del decennio 1930-1940, il dato forse più interessante fu l’ampia e variegata evoluzione d’indirizzi e di stili, che avvenne proprio in seno alla stessa corrente aeropittorica, una serie di tendenze che F.T. Marinetti andò a riassumere in un’articolata premessa alla mostra degli aeropittori pubblicata nel catalogo della III Quadriennale romana, del 1939, nella quale presentava un’Aeropittura «stratosferica cosmica e biochimica, che si allontana da ogni verismo e che esprime il senso umano e terreno della metamorfosi che l’uomo contiene nel suo slancio stratosferico».
A questa aggiunse un’Aeropittura «essenziale, mistica, ascensionale, simbolica... che riduce i paesaggi visti dall’alto alla loro essenza e spiritualizza aeroplani e volatori fino a ridurli a puri simboli». Un’altra tendenza fu individuata nell’Aeropittura «trasfiguratrice, lirica, e spaziale che armonizza sistematicamente il paesaggio italiano imbevendolo di appassionate velocità aeree, estraendone tutti i misteriosi fascini e tutte le suggestioni letterarie». Infine fu definita un’Aeropittura «sintetica e documentaria» tramite la quale furono realizzati «paesaggi e urbanismi visti dall’alto e in velocità».

    Giunti a questo punto, e per semplificare, possiamo affermare che la produzione aeropittorica può essere definita in due grandi tendenze. Quella “cosmica”, da una parte, per la quale l’aeroplano è solamente il “mezzo” per acquisire un nuovo senso della visione e quindi sviluppare una sensibilità cosmica, staccata dalle contingenze terrene. Dall’altra, invece, si può individuare una tendenza “documentaria”, nella quale l’aeroplano diviene invece il “soggetto” ritratto (spesso con indulgente verismo) in una varietà di situazioni di volo. E se nella prima metà degli anni Trenta le due tendenze furono grossomodo in equilibrio, con l’inizio della seconda metà del decennio, ed il coinvolgimento bellico dell’Italia, dapprima in Africa, quindi in Spagna, e poi nella seconda guerra mondiale, si andò via via consolidando sempre più il dato documentaristico e spettacolare, spesso con gli aerei colti nel corso di missioni di guerra, grazie anche agli accattivanti dipinti di Tato, Crali, Ambrosi, Di Bosso e Verossì. Ma con il dilungarsi della guerra ci sarà sempre meno spazio per l’arte.













VELOCIDAD TERRESTRES
Dinamismo di automobile
LUIGI RUSSOLO, Dinamismo di un'automobile, 1911 circa


Studio di cavallo in corsa + case
UMBERTO BOCCIONI, Studio di cavallo in corsa + case, 1914/15


Velocità + rumore
GIACOMO BALLA, Velocità + rumore, 1913


Sintesi di paesaggio di velocita' da un treno
CARLO CARRA', Sintesi di paesaggio di velocita' da un treno, 1913


Motociclista
GERARDO DOTTORI, Motociclista, 1914


Motociclista
ACHILLE FUNI, Motociclista, 1914


Motociclista + citta
ROBERTO MARCELLO BALDESSARI, Motociclista + città, 1916


Auto + strada + corsa
ROBERTO MARCELLO BALDESSARI, Auto + strada + corsa, 1916


Targa Florio
VITTORIO CORONA, Targa Florio, 1923


Motociclista
MARIO GUIDO DALMONTE, Motociclista, 1927


Motociclisti
UGO GIANNATTASIO, Motociclisti, 1922


Gran Premio di Tripoli
VITTORIO CORONA, Gran Premio di Tripoli, 1927


Treno + binario + vapore
ROBERTO MARCELLO BALDESSARI, Treno + binario + vapore, 1917


Locomotiva + velocità
ROBERTO MARCELLO BALDESSARI, Locomotiva + velocità, 1917


Dinamismo di un treno
VITTORIO CORONA, Dinamismo di un treno, 1921


Stazione + treno
GIULIO D'ANNA, Stazione + treno, 1928/29


Treno in corsa
PIPPO RIZZO, Treno in corsa, 1929


L'arrivo in stazione
ANTONIO MARASCO, L'arrivo in stazione, 1932


Auto in velocità
IVANO GAMBINI, Auto in velocità, 1930 ca


Bolidi + strada
GIOVANNI KOROMPAY, Bolidi + strada, 1933


VELOCIDAD AERODINAMICA
Volo su paese
GERARDO DOTTORI, Volo su paese, 1925


S16 in navigazione
TATO, S16 in navigazione, 1927


Verso il sole
GIULIO D'ANNA, Verso il sole, 1930/31


Virata sul golfo
GIULIO D'ANNA, Virata sul golfo, 1929/30


Scivolata d'ala
ANGELO CANEVARI, Scivolata d'ala, 1930


Aerei sul golfo
GIULIO D'ANNA, Aerei sul golfo, 1930


Aeropaesaggio
GIULIO D'ANNA, Aeropaesaggio, 1930 ca.


Decollo + Paesaggio
GIULIO D'ANNA, Decollo + Paesaggio, 1931


In volo su città
TULLIO CRALI, In volo su città, 1931


Eliche tricolore
TULLIO CRALI, Eliche tricolore, 1930

Lo stormo
TATO, Lo stormo, 1931

Aerosfida
MINO DELLE SITE, Aerosfida, 1932


Attacco al treno
ANTONIO MARASCO, Attacco al treno, 1932


Aeroveduta del fiume
OSVALDO BRUSCHETTI, Aeroveduta del fiume, 1932


Picchiata sull'aeroporto
GIULIO D'ANNA, Picchiata sull'aeroporto, 1932


Quota 3000
IVANO GAMBINI, Quota 3000, 1933
Arresto d'elica
IVANO GAMBINI, Arresto d'elica, 1933


Seduzione aerea
NELLO VOLTOLINA, Seduzione aerea, 1932


Virate astrali
LEANDRA ANGELUCCI, Virate astrali, 1934


Aeropittura africana
BRUNO TANO, Aeropittura africana, 1935


Nel mirino
TULLIO CRALI, Nel mirino, 1936


TATO, Spiralata
TATO, Spiralata, 1TATO, Spiralata, 1936
Il Caproni 101 torna dall'Amba
IVANO GAMBINI, Il Caproni 101 torna dall'Amba, 1936

Le due ere
IVANO GAMBINI, Le due ere, 1936


Aerocaccia II
TULLIO CRALI, Aerocaccia II, 1936


Pensieri in carlinga
BARBARA, Pensieri BARBARA, Pensieri in carlinga, 1938


Macchine di guerra
RENATO DI BOSSO, Macchine di guerra, 1942


Allegoria dell'Aviazione
VEROSSÌ, Allegoria dell'Aviazione, 1942


Bombardiere a tuffo
VEROSSÌ, Bombardiere a tuffo, 1942


Mitragliando
VEROSSÌ, Mitragliando, 1942
Bombardamento fabbriche
TULLIO CRALI, Bombardamento fabbriche, 1942






Info mostra
FUTURISMO y VELOCIDAD


Museo de Arte Italiano
LIMA

Data della mostra:
6 giugno – 6 agosto 2017