uNa PrEmeSsa Alla RiLEttuRA dI bRuSChetTi
Massimo Duranti
Dal Futurismo di terra degli esordi
eroici del Movimento a quello del
cielo negli sviluppi aeropittorici, la
ricerca dei futuristi si è poi rivolta al
cosmo, all’imperscrutabile. Ecco allora
che i dinamismi di cicli, motocicli,
automobili e treni degli anni fino ai
Quindici del Novecento dei primi
interpreti artistici della rivoluzione di
Filippo Tommaso Marinetti del 1909
si evolvono nei primi anni Venti nelle
visioni aeropittoriche dei reduci del
gruppo originario rimasti fedeli al
manifesto di fondazione, insieme alle
nuove leve con un linguaggio codificato
solo nel 1931, ma già praticato
ampiamente da alcuni di loro già
all’esordio dei Venti. Quando poi nel
1944 Marinetti morì concludendosi
così storicamente il Futurismo, ma
non certo l’attivismo dei futuristi della
seconda e terza generazione, le
loro fervide menti, come quella di
Enrico Prampolini, da considerare
figura “di transito” fra la stagione
eroica del movimento e quella degli
sviluppi degli anni dai Venti in poi, e
quella del ben più giovane Alessandro
Bruschetti, in tempi diversi, ma
con linguaggi del tutto autonomi,
superarono il Futurismo di terra e
quello del cielo per approdare
all’idealismo cosmico immaginando il
dinamismo astrale, quello che sorregge
l’universo da milioni di anni nelle
profondità siderali.
Bruschetti era nato a Perugia dove
aveva studiato all’Istituto d’arte e poi
all’Accademia di Belle Arti, senza
concluderla perché volle subito abilitarsi
all’insegnamento e, soprattutto,
su consiglio del Soprintendente
Achille Bertini Calosso andò a Roma
per frequentare il "Regio gabinetto
pel restauro dei dipinti dove si diplomò
brillantemente. Tre lustri dopo,
fra insegnamento, restauro di dipinti"
e cure familiari, si spostò in varie
parti dell’Umbria per approdare a
Monza nel 1956, dove si trattenne
fino al 1970, stringendo rapporti con
i futuristi Acquaviva, Andreoni, Masnata
e lo stesso Crali.
A Brugherio e dintorni, dove abitavano
alcuni dei figli, Bruschetti compì
i suoi giorni terreni nel dicembre
del 1981, attorniato dai familiari rimasti
in Brianza, mentre lui con Maria
aveva da qualche anno sentito il
richiamo delle origini e soprattutto
dell’ebbrezza della "tramontana perugina
che spazza via ogni impurità
dell’aria" nella città umbra arroccata
sulla collina. Invece al nord, dove era
vissuto per molti anni, nebbia e smog
- almeno allora - non confacevano
più alle sue debolezze polmonari,
come gli dissero i medici. Più alla
mente che ai polmoni gli giovò una
ritrovata serenità riguardo anche a
disavventure di lavoro non risolte. E
allora, in quel di Santa Lucia, il
quartiere alla prima periferia della
città, lavorò intensamente e non solo
al cavalletto, ma anche a grandi cimenti
come quello nella chiesina di
San Barnaba. Dove era parroco Nello
Palloni, un buon pittore che aveva
avuto seri incoraggiamenti da Gerardo
Dottori, che stava realizzando un
suo linguaggio decisamente post futurista.
Il sodalizio col prete - pittore
nacque sulla poltrona del barbiere
del quartiere, dove Bruschetti curava
più la barba che i pochi capelli. Barbiere
che era il nipote di Palloni. Fra
i due nacque un sodalizio forte: il
futurista, maestro di ogni tecnica pittorica,
ma anche provetto restauratore
di opere d’arte antiche (e moderne),
trasmise a Palloni i segreti più
arditi del restauro.
È encomiabile, ora, che il Comune di
Brugherio abbia pensato di onorare
la sua figura. L’idea di onorare Bruschetti
è maturata, già prima della
pandemia, negli uffici dell’assessorato
alla cultura del Comune brianzolo da
due intelligenti funzionari: Gennaro
Mele e Vittorio Fiori che della mostra
sono i curatori.
Andrea Baffoni, che già collaborò
con me nel 2009 (l’anno del centenario
futurista) alla stesura della grande
monografia dell’artista e alle mostre
a Perugia e Castiglion del Lago,
ha riscritto e aggiornato la biobibliografia
dell’artista.
Importante è stata anche la collaborazione
di LeoGalleries, che nel tempo
ha maturato un’esperienza non
puramente commerciale sul Futurismo
con ricerche e specifiche mostre
presentate anche fuori del proprio
spazio espositivo monzese.
Originale il taglio che Mele e Fiori -
supportati dal Comitato scientifico
che ho avuto il piacere di presiedere
- hanno voluto adottare nella progettazione
dell’esposizione: non
un’antologica generalista della produzione
bruschettiana, bensì una focalizzazione
proprio degli sviluppi
purilumetrici, spesso polimaterici,
dalla metà degli anni Quaranta in
poi. I presupposti antecedenti tale
produzione, quelli, rari, del tardo
futurismo dinamico e poi quelli aeropittorici
non potevano essere però
dimenticati, proprio nell’ottica di verificarne
gli sviluppi e allora la mostra
ne presenta una sintetica campionatura.
Mele nel suo saggio
Dal dinamismo al
Movimento della luce
dopo aver ricostruito
le stagioni della pittura
dell’artista, approfondisce quella
post-bellica legandola anche allo
“sviluppo scientifico… la corsa allo
spazio…, la ricerca spasmodica di
conquistare, sia scientificamente che
fisicamente, ciò che è al di fuori
dell’atmosfera terrestre”. Ricorda
anche, opportunamente, che Bruschetti
nella maturità guardò certamente
lo Spazialismo di Lucio Fontana,
come molti anni prima aveva
letto l’idealismo cosmico di Prampolini,
suggestioni che tradusse non
solo con la pittura, ma anche col polimaterismo
che, del resto, aveva già
sperimentato nel 1933 con il grande
dipinto Resurrezione, esposto alla XIX
Biennale di Venezia, dove il costato
del Cristo è un taglio reale del supporto
ligneo riempito di velluto che,
secondo Passoni sarebbe stato visto
proprio alla manifestazione veneziana
da Lucio Fontana venti anni prima
che iniziasse a operare i suoi tagli
sulle tele.
Fiori affronta specificamente gli sviluppi
della pittura bruschettiana in
La purilumetria rinvenendo acutamente
i precedenti nello “studio delle
forme della luce… rintracciabili nei
manifesti e scritti futuristi”, come,
appunto, il Manifesto dell’idealismo
cosmico di Prampolini del 1931. Altra
sottolineatura, quella che “la luce
è sempre stata un elemento centrale
nelle opere di Bruschetti”, portando
ad esempio i fasci di luce che compaiono
spesso nelle sue aeropitture,
come nel successivo polimaterismo
dove fa catturare la luce dagli “elementi
metallici”.
Venendo alla mostra, occorre premettere
che si è pensato, per la sezione
aeropittorica, anche di contestualizzare
le opere di Bruschetti con
quelle dei suoi sodali. E così si potranno
apprezzare alcune aeropitture
di Gerardo Dottori, di Tullio Crali,
Tato, Angelo Canevari, Ivanoe
Gambini, Leandra Angelucci Cominazzini
e di Nello Voltolina anche
per illustrare le differenti declinazioni
aeropittoriche che si manifestarono
in quella stagione.
Bruschetti è stato artista che ha avuto
una presenza non secondaria negli
sviluppi del più importante movimento
artistico italiano del Novecento,
in particolare nella stagione
dell’Aeropittura, maturando poi dagli
anni Cinquanta, come detto, la Purilumetria,
il suo linguaggio di ricerca
della purezza della luce attraverso
geometrie solide vaganti nell’infinito
cosmico-siderale. Già Balla negli
anni Dieci del Novecento con le
compenetrazioni iridescenti aveva
esplorato la combinazione fra luce -
geometria e colori e Prampolini,
come accennato, già prima della fine
storica del Futurismo, aveva avviato
la ricerca sull’Idealismo cosmico
esplorando il dinamismo degli abissi
siderali. Bruschetti, appunto, ha lavorato
alla costruzione autonoma di
dinamismi invisibili fra geometria -
luce - spazi cosmici popolati di astri
improbabili.
Con Dinamismo di cavalli del 1932,
sensazioni e odori di fiati equini e di
terra smossa, il tutto avviluppato dal
paesaggio, Bruschetti ricevette il battesimo
per l’ingresso nel gruppo dei
futuristi dalle mani stesse di Filippo
Tommaso Marinetti, al quale Dottori
aveva presentato l’opera del ventiduenne
concittadino. Poi dipinse visioni
dall’alto del paesaggio idealizzato
e ritmi di cascate caratterizzati
da nitore cromatico e accurata stesura,
in ciò distinguendosi dal suo maestro
Dottori che lasciava il pennello
scorrere liberamente e diversamente
denso di colore. Di quella stagione è
anche la già citata Resurrezione del
1933, esempio eccellente di arte sacra
futurista e preludio più o meno
inconsapevole della terza dimensione
nella pittura, che fu esposto alla
Biennale di Venezia del 1934 e giudicato
dall’Osservatore romano, per la
firma di Celso Costantini "antiliturgico
e antisacro". Invece, quel Cristo si
rivela eccezionale per la sintesi compositiva
e l’ambientazione e, soprattutto,
audace per inventiva nel materializzare
col taglio e non con la pittura
sulla tavola lo scempio della ferita
del costato del Cristo. Taglio che
sicuramente Fontana vide a Venezia,
seppure i suoi di tagli sulle tele si materializzeranno
molto più tardi. Seguono
non pochi quadri e quadretti
con visioni dall’alto di paesaggi immaginari
di non costante definizione,
ma sempre accattivanti. Le sue opere
maggiori furono esposte nei padiglioni
futuristi di Biennali di Venezia e
Quadriennali di Roma, ma anche
nelle mostre futuriste itineranti in
tutta Europa, senza dimenticare le
esposizioni personali, poche ma selezionate
quanto a spazi e luoghi, non
dimentichiamo infatti che era molto
impegnato nell’attività di restauro.
L’evoluzione dall’Aeropittura, dopo
la morte di Marinetti, avviene nella
pittura di Bruschetti gradualmente,
con l’intermezzo di ricerche astratto -
informali sulla spiritualizzazione della
materia, non volendo l’artista diventare
epigono di se stesso continuando
come molti colleghi a dipingere
aeropitture.
Come spiegato in premessa, questa
mostra vuole sottolineare soprattutto
la valenza del linguaggio bruschettiano
della maturità, quello degli ulteriori
sviluppi del Futurismo originalmente
elaborato dal pittore perugino
che, come abbiamo visto, non nasce
casualmente e ha antecedenti nello
stesso Balla e in Prampolini, le cui
suggestioni sono della sola poetica,
perché il linguaggio è del tutto autonomo
ed originale.
La purilumetria bruschettiana è presentata
in mostra con una venticinquina
di opere.
L’approdo purilumetrico, ovverosia
l’invenzione di una pittura “geometrico
- spaziale luministica” - come
ebbi a definirlo nel 2009 per la mostra
a Perugia e Castiglione del Lago
-, è allo stesso tempo ricerca
dell’infinito col recupero del dinamismo
futurista che si realizza negli
spazi siderali, moto necessario
dell’evolversi della vita astrale, e ricerca
di un’estetica spirituale.
È databile, nella sua produzione, dalla
metà degli anni Sessanta con un
avvio meccanicistico, influenzato anche
dalla tecnologia e delle imprese
spaziali, già preconizzate da Marinetti,
poi progressivamente arricchitosi
di accenti spirituali.
La purilumetria di Bruschetti si fonda,
dicevo, sulla geometria: forme
geometriche che catturano la luce,
che la sviluppano, forme che espandono
la luce. Spesso le geometrie
sono di metallo e catturano e deviano
la luce. Allora siamo al polimaterismo
che, abbiamo visto, usò già in
alcune opere degli esordi futuristi.
Altre forme compenetrano la materia
nello spazio, oppure sono macchine
che esplodono. La luce che le accarezza
crea turbini, spirali, saette, oppure
si snoda in diagonale, in triangoli
o quadrati. In definitiva, Bruschetti
ha elaborato anche un’estetica
della luce (e del colore). Come
Osvaldo Peruzzi, l’ultimo futurista a
lasciare questa terra, ha teorizzato lo
“splendore geometrico” e un pittore
vivente, Antonio Fiore, che riuscì
appena a frequentare un tardo futurista
come Monachesi, dipinge incessantemente
lampi e virgole colorati
che danzano nel cosmo.
Un cenno specifico al muralismo audace
bruschettiano degli anni Settanta
non può mancare in questa presentazione.
La sua stagione post futurista
non è caratterizzata soltanto
dalla invenzione purilumetrica, bensì
dalla sua applicazione a opere monumentali
realizzate ad altorilievo: un
impegno importante che gli richiese
un notevole sforzo non solo creativo,
ma anche fisico. Mi riferisco al trittico
polimaterico sul sacro, incompiuto
nella terza rappresentazione, che ci
viene restituita dai numerosi bozzetti
che aveva realizzato prima della
scomparsa.
Per il Convento La Pace di Sassoferrato,
dove lavorò per molti mesi nel
1976 avendo accanto l’inseparabile
consorte Maria, ospiti dei francescani,
realizzò Il giudizio universale, altorilievo
di tre metri e trenta per quattro,
preceduto da numerosi bozzetti,
mirabile trionfo di elementi - uomini
che, attratti dalla luce, geometricamente
salgono in alto verso la beata
eternità. Per la Chiesa di San Barnaba
di Perugia, sollecitato dal suo maturo
“allievo”, parroco-pittore e restauratore
Nello Palloni, realizzò nel
1978 La resurrezione, altorilievo di tre
metri e ottanta per oltre cinque metri,
preceduto da numerosi bozzetti,
composta e dinamica elevazione di
forme e di luce verso l’eternità. Aveva
infine già realizzato nel 1979 bozzetti
di varia dimensione per Il Paradiso,
che doveva completare la trilogia
sacra ed essere collocato nella
stessa chiesa di San Barnaba davanti
alla Resurrezione, ma il suo tempo
terreno finì prima. Questo linguaggio
della trilogia sacra è una declinazione
di palinsesti popolati di anime tormentate
e oranti.
La focalizzazione del Bruschetti post
futurista, coniugata alla valorizzazione
della stagione aeropittorica, già da
tempo apprezzata dalla critica e dal
mercato, senza dimenticare il suo
importante lavoro di restauratore, i
cui segni sono nei principali musei
italiani e andrebbe utilmente studiato,
costituiscono un doveroso riconoscimento
a questo artista schivo,
quanto di sicuro spessore umano ed
estetico.
Voglio però concludere questa introduzione
un po’ narcisisticamente ricordando
le occasioni in cui
nell’ultimo quarantennio (più uno)
ho presentato Alessandro Bruschetti
come curatore, co-curatore o collaboratore,
rinviando alla bibliografia
per i particolari, al fine di stimolare
altri a continuare a studiare e presentare
il Futurismo e i suoi protagonisti.
Mostra antologica a Palazzo della
Penna, a Perugia nel 1981; rassegna
futurista a Palazzo mediceo di Seravezza
nel 1996; rassegna futurista a
Palazzo delle Esposizioni di Roma
nel 2001; rassegna dei futuristi per il
sacro a Londra nel 2007; rassegna
futurista in vista del centenario marinettiano
a Marcon (Venezia) nel
2007; grande mostra storica sul Futurismo
italiano al Guggenheim di
New York nel 2014; rassegna futurista
alla Galleria Russo di Roma nel
2014; importante rassegna storica del
Futurismo alla Fondazione Prada di
Milano nel 2018. Infine, importante
rassegna sull’Aeropittura futurista al
Labirinto della Masone di Franco
Maria Ricci a Fontanellato di Parma
in questo 2022.
Bruschetti durante la realizzazione della pala "Il Giudizio Universale" nel 1976 presso il Convento francescano "La pace" a Sassoferrato.
SEZ. I
La prima sezione è dedicata alla stagione futurista dell’artista umbro. Qui sono esposte le principali opere che lo introdussero nel movimento marinettiano e gli permisero di diventare un costante protagonista delle esposizioni futuriste in Italia e nel mon movimento. Esemplificativo del periodo futurista è l’Aereoautoritratto del 1933, in cui l’artista concentra i principali elementi della sua personale interpretazione dell’arte: il movimento futurista dei cavalli e dell’aeropittura, la morbidezza del paesaggio collinare umbro, la pregevole capacità tecnica realista dell’autoritratto e lo studio della luce.
SEZ. II
All’aeropittura è dedicata la seconda sezione, in cui le opere di Bruschetti sono messe a confronto con quelle di altri aeropittori, espressione di due distinte correnti: le visioni aeroplaniche e l’idealismo cosmico. La differenza si basa sull’interpretazione che gli artisti diedero alla riflessione futurista sulla velocità e sulla tecnologia. Le visioni aeroplaniche si contraddistinguono per la grande attenzione al movimento e alle visioni dall’alto improntate al realismo. L’idealismo cosmico si concentra sull’aspetto spirituale della ricerca artistica, passando dallo spazio esplorabile dell’atmosfera terrestre all’ancora inesplorabile infinito del cosmo. Nella prima parte della sua carriera Alessandro Bruschetti si dedicò alle visioni aeroplaniche, mentre, a partire dagli anni ’50, riscoprì l’idealismo cosmico approfondendo lo studio di forme, spazio e luce.
aLEsSaNDrO BrUScHEtti: La VitA
Andrea Baffoni
Alessandro Bruschetti nasce il 27 novembre 1910 a Perugia. Nel 1929 si diploma al
Regio Istituto d’Arte “Bernardino di Betto” della stessa città per poi iscriversi alla
prima classe del corso di Architettura presso l’Accademia di Belle Arti.
Nei primi mesi del 1931 partecipa alla sessione di esami d’abilitazione
all’insegnamento indetta dal Ministero dell’Educazione Nazionale. Si presenta per la
prima volta al pubblico alla Seconda Mostra Sindacale d’Arte di Perugia, ottenendo
un primo successo arrivando secondo con l’opera Pagliai (ora Aia d’agosto),
acquistata dal Comune di Perugia.
Nel novembre 1932 si trasferisce a Roma per seguire i corsi al “Regio Gabinetto pel
restauro dei dipinti”. Nella Capitale già opera Gerardo Dottori che dopo aver visto il
dipinto Dinamismo di cavalli, nato dalle suggestioni create dalle corse dell’ippodromo,
lo presenta a Marinetti che lo ammette subito nel gruppo futurista.
Conosce e frequenta i più importanti esponenti del movimento futurista tra cui
Enrico Prampolini, Anton Giulio Bragaglia e Vittorio Orazi. Nei suoi scritti
autobiografici dichiara di aderire al Futurismo in quest’anno contraddistinto da
opere quali Ritmi di cascate, Il fulmine, Il turbine e A fondo (La scherma).
Al 1933 risalgono opere quali l’Autoritratto aereo, Gara di motori, e Resurrezione. In
quest’ultima opera il tema è trattato in modo antitetico rispetto agli schemi tradizionali:
il taglio verticale, che percorre il corpo di Cristo, simbolizza la distruzione della
materia a beneficio della trascendenza del fatto rappresentato e, come sostenuto
dalla critica, prelude a certe soluzioni dello Spazialismo; inoltre con questo dipinto il
pittore inizia a servirsi di apporti polimaterici.
Consegue il diploma del “Regio Gabinetto pel restauro dei dipinti” il 3 agosto 1934.
Nella produzione artistica si fa intanto più marcata l’attenzione al paesaggio umbro,
interpretato secondo la sensibilità aeropittorica. Partecipa per la prima volta alla
Biennale di Venezia dove incontra Lucio Fontana.
La prima mostra personale è allestita al “Bragaglia Fuori Commercio” a Roma in
maggio 1935, con presentazione in catalogo di Mino Somenzi uno degli ideatori del
Manifesto dell’Aeropittura. Alla fine dell’anno torna a Perugia iniziando l’attività di
insegnante per continuando l’attività di restauratore e alternando soggiorni a
Milano. Nel 1937, a Fontignano (Perugia), esegue ad affresco L’Annunciazione nella
lunetta di facciata della chiesa dell’Annunziata che custodisce la tomba di Pietro
Vannucci detto il Perugino.
Nel 1938 lavora a restauri, assieme a Lanciotto Fumi, nella chiesa di Santa Maria
Maddalena di Castiglione del Lago, durante il soggiorno conosce Maria, che
diventerà sua moglie. Soggiorna dunque per alcuni mesi a Castiglione del Lago,
anche l’anno seguente, eseguendo lavori di restauro sugli affreschi del Palazzo
ducale. Lavora anche a Città di Castello, dove esegue l’affresco nella chiesa di Santa
Maria Maggiore, “già chiesa di Sant’Egidio” raffigurante Il Battesimo di Cristo e, nel
Cimitero monumentale, la Crocifissione e le pie donne, il paesaggio a trompe l’oeil e la
volta con i simboli evangelici della cappella Mancini-Sernini. Quindi nel 1940 si
trasferisce a Città di Castello, dove risiederà fino al 1956, lavorando come restauratore.
Il 26 dicembre dello stesso anno viene insignito del titolo di Accademico di
merito dall’Accademia di Belle Arti di Perugia.
Tra 1940 e 1945 nella chiesa di San Lorenzo a Montepetriolo (Perugia), realizza un
presepe con lo scultore Bruno Arzilli. In questo periodo si dedica anche alla
decorazione di cappelle gentilizie del Cimitero di Cortona, dove era ospitato dai
conti Passerini, eseguendo per loro diversi restauri di dipinti. Il 27 febbraio 1944
nasce la prima figlia Alessandra.
Si dedica intanto a ricerche sull’arte sacra, con un sostanziale recupero della
figurazione, ma filtrato attraverso una forte sintesi geometrica. Ciò è dovuto anche
alla fine del Futurismo, seguito alla morte di Marinetti nello stesso 1944. Intensifica
dunque la sua attività di restauratore e di insegnante nelle scuole pubbliche,
ricercando tuttavia nuove strade artistiche pur legate alle precedenti esperienze
futuriste. Lavora intanto al recupero di alcuni affreschi nella chiesa di San Domenico
di Città di Castello, tra cui quello con San Florido. Esegue inoltre restauri per la
Pinacoteca Comunale di Città di Castello, nonché altri lavori di restauro di opere
per varie famiglie (Bufalini, Boncompagni, ecc.) della stessa città e del circondario.
Familiari ed amici ricordano che Alberto Burri, che stava maturando il proposito di
dedicarsi interamente all’arte, frequenta il suo studio, appena rientrato dalla
prigionia, per curiosare mentre il maturo artista era alle prese con le più svariate
tecniche pittoriche, delle quali era maestro.
Nel luglio 1948 Bruschetti è invitato a Cortona per tenere una mostra presso
l’Accademia Etrusca. La presentazione in catalogo viene scritta da Dottori.
A partire dal 1950 insegna alla Scuola Tecnica Industriale Statale per le Arti
Grafiche a Città di Castello. In tale frangente conosce Dante Baldelli iniziando a
collaborare con lui disegnando vasi, piatti, mattonelle, per il laboratorio “Ceramiche
Baldelli”, da poco fondato con il fratello Angelo dopo che avevano lasciato le
manifatture Rometti di Umbertide. Nel frattempo riprende intensamente a dipingere
e fino alla metà degli anni Cinquanta prosegue la sua ricerca pittorica approfondendo
le linee simultanee futuriste in opere come Paesaggio simultaneo, Il nuotatore, le
tre versioni de La corrida, Suonatore di fisarmonica, Suonatore di violoncello, La ballerina.
Nel 1956 si trasferisce a Monza, dove risiederà fino al 1970. Qui stringe un intenso
sodalizio con il gruppo dei futuristi milanesi, rapporti testimoniati dai fitti scambi
epistolari. Tra questi, Cesare Andreoni, Pino Masnata, Giovanni Acquaviva e
diversi critici che appoggiano il suo lavoro come Franco Passoni. Insegna presso
l’Avviamento Professionale “Prof. Bellini” (fino all’anno scolastico 1959-60) e alla
Civica Scuola Artigiana "P. Borsa" di Monza. Al contempo lavora sia per la Pinacoteca
di Brera che per molti collezionisti ed antiquari, per questi ultimi realizza
numerosi affreschi di Madonne con Bambino “in stile”.
Gli studi e i bozzetti di questi anni testimoniano un approfondimento delle ricerche
già avviate in passato, ma nella direzione di una sintesi e di un dinamismo più
rigorosi e motivati. Nascono opere come Meteoriti e Spiritualizzazione della materia.
Questo percorso lo porta a definire, nel 1964, un nuovo linguaggio col quale
superare e sviluppare forme e temi dell’esperienza futurista. È l’artista stesso a
denominarlo “purilumetria”, ossia: “purezza della luce attraverso la geometria”.
Nel 1971 è nuovamente a Perugia per una personale alla Galleria Cecchini. Conosce
così il sacerdote Nello Palloni che diverrà un suo allievo per le tecniche pittoriche e
il restauro. A causa delle difficili condizioni di salute viene consigliato ad allontanarsi
da Monza. Ritorna così definitivamente nella città natale iniziando parallelamente
ad avere rapporti con l’ambiente culturale marchigiano. Frequenti i soggiorni estivi
a Senigallia, Jesi e Sassoferrato dove, nel 1972, partecipa al Premio G.B. Salvi
tenendo una mostra personale. È
questa, per Bruschetti, una fase di
intensa attività, sia creativa che espositiva.
Porta avanti le sue ricerche
purilumetriche in dipinti quali Espansione
luce-ellissoidale, Espansione suonoluce,
Espansione spirali-luce, nonché
quelli, del ’72, che lui definirà “pittura
purilumetrica spaziale”, come
Alianti + eclissi solare (bozzetto) e Luce
verso l’infinito.
A Sassoferrato stringe amicizia con
Leo Strozzieri, del convento francescano
“la Pace”, conosciuto in occasione
della mostra personale del
1972, il quale sta preparando una tesi
di laurea su di lui. Tali rapporti, nel
1976, portano Bruschetti alla realizzazione
del grande Giudizio Universale
che ricopre la parete di fondo della
Cappella del Sacramento del convento
“La Pace”. Opera per la quale impiega
sei mesi di tempo e numerosi
studi preparatori.
Sulla scia di tale imponente opera,
Don Nello Palloni gli commissiona
La Resurrezione, per la Chiesa di San
Barnaba di Perugia, sua parrocchia.
Un grande dipinto parietale che occupa
quasi venti metri quadri dove
realizza in pieno la spiritualizzazione
della materia, tanto ricercata.
Torna quindi a Sassoferrato nel 1979
per eseguire Il miracolo dell’acqua, dipinto
ispirato alle storie di san Francesco
per un altare della chiesa del
convento “La Pace”. L’opera verrà
tuttavia conclusa da Don Nello Palloni,
a causa della prematura scomparsa
di Bruschetti che avviene il 2
gennaio 1980 a Brugherio (Milano),
in occasione di una visita alle figlie.
Info Mostra
Alessandro Bruschetti
alla ricerca della purezza della luce
Dal 05/11/2022 al 27/11/2022
Brugherio, Galleria delle Esposizioni
Inaugurazione: sabato 5 novembre 2022, ore 16.00
Orari: dal martedì al sabato dalle ore 15 alle ore 19 - domenica dalle ore 10 alle ore 12.30 e dalle 14.30 alle 19:00