Agli inizi del XX secolo, in Italia le arti decorative sono le eredi di una grande tradizione artigianale e artistica, e si fanno portavoce del desiderio di progresso di una nazione che ha da poco trovato la sua unità. Ebanisti, ceramisti, maestri vetrai lavorano spesso in collaborazione con i più importanti artisti, creando un vero proprio "stile italiano", destinato a influenzare la nascita stessa del design moderno.
Questo percorso ricco, complesso, e pieno di entusiasmo, si è sviluppato sullo sfondo di un periodo storico dei più bui e difficili, che finirà per conoscere gli esiti tragici del regime fascista.
Per questo era necessario interrogarsi sul valore di questa esperienza, e lo facciamo a partire dal titolo della mostra. Può esistere un periodo di creatività straordinaria mentre la nazione corre verso la catastrofe? Poteva esistere una "dolce vita", prima che Federico Fellini rendesse celebre questo termine negli anni Sessanta?
Le arti decorative, dai mobili eccentrici di Carlo Bugatti, alle invenzioni dei Futuristi, fino alle inaspetatte sedie rosse di Marcello Piacentini, ci parlano di una creatività gioiosa, di una capacità inventiva senza limiti, ma soprattutto del definirsi di un "carattere" italiano, che ancora oggi contraddistingue il design, la moda e l'arte.
Italie 1900-1940
Dopo eDopo essere stata presentata al musée d'Orsay, sono particolarmente lieto di portare questa mostra in Italia, paese di cui essa illustra, attraverso le arti decorative e il loro intreccio con la pittura, alcuni decenni tra i più difficili, e allo stesso tempo interessanti, della sua storia recente. L'idea della mostra nasce da un progetto che realizzai con Giampiero Bosoni nel 2006, al Musée des Beaux-Arts di Montréal, di cui ero allora direttore (poi all'Art Gallery of Ontario di Toronto e al Mart di Rovereto): un'esaustiva rassegna sulla storia del design, intitolata "Modo Italiano".
Ricollegandosi idealmente a questa ricerca, che giungeva fino alle giovani generazioni, la mostra si con-centra ora su un arco di tempo più breve, che termina all'inizio della seconda guerra mondiale, ovvero alle "origini" del design industriale. È allora che un gruppo di giovani di straordinario talento, quali Franco Albini, Guglielmo Ulrich, Carlo Mollino, oltre a Gio Ponti, ha gettato le basi per il "good design" italiano, che fiorirà nel secondo dopoguerra. Il cammino che essi hanno percorso è ricco, complesso, pieno di entusiasmo, sullo sfondo di un periodo storico dei più bui e tormentati. Per questo era necessario interrogarsi sul valore di questa esperienza: può esistere un periodo di creatività straordinaria mentre la nazione corre verso la catastrofe? Poteva esistere una "dolce vita" (come recita il titolo di questa mostra), prima che Federico Fellini, rendesse celebre questo termine negli anni sessanta? Le arti decorative, dai mobili eccentrici di Carlo Bugatti, ai pezzi folli dei futuristi, fino alle inaspettate sedie rosse di Marcello Piacentini, ci parlano di una creatività gioiosa, di una capacità inventiva sen-za freni, ma soprattutto del definirsi irrevocabile di un "carattere" italiano, che ancora oggi contraddistingue il design, la moda, l'arte.
Un'esposizione non è, tuttavia, un "Salone del mobile", ma nasce da un pensiero profondo, un pensiero "in azione", che ci ha consentito di presentare una vera mostra sulla civiltà italiana. Un progetto come questo non avrebbe potuto avere vita senza i prestiti generosi dei Musei, delle gallerie, dei collezionisti privati e delle famiglie stesse degli artisti, che hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa. Desidero esprimere a tutti la mia più profonda gratitudine. Essa si estende a Giandomenico Magliano, ambasciatore d'Italia a Parigi, per il costante supporto dato a questa iniziativa.
Desidero ricordare un grande collezionista, Francesco Carraro che, prima di lasciarci l'estate scorsa, ci aveva aperto le porte del suo palazzo veneziano e aveva offerto il suo sostegno incondizionato a questa mostra, affiancato dalla moglie Chiara e da Alessandro Pron.
Ringrazio inoltre, per il loro amichevole sostegno, Gabriella Belli e Massimo Vitta Zelman.
Il mio più caloroso ringraziamento va infine a Irene de Guttry e Maria Paola Maino, eminenti specialiste delle arti decorative italiane, e a Beatrice Avanzi, conservatrice al musée d'Orsay e co-curatrice della mostra. Dopo essersi rivelata una vera scoperta per il pubblico francese, essa approda ora in un luogo espositivo storico nel cuore di Roma, quel palazzo delle Esposizioni che, nei primi anni del secolo passato, ha visto avvicendarsi nelle sue sale tante opere che vi ritornano adesso per raccontarci la loro storia. Ringrazio il sindaco di Roma Ignazio Marino, il commissario di Palaexpo Innocenzo Cipolletta, il direttore generale Mario De Simoni e Matteo Lafranconi, responsabile scientifico, per aver accolto con entusiasmo questo progetto.
Guy Cogeval, presidente dei musées d'Orsay et de l'Orangerie e curatore della mostra
La stagione del Liberty
Liberty è il nome che l'Art Nouveau prende in Italia, nazione che ha da poco raggiunto la sua unità (1861). All'inizio del XX secolo, il giovane regno è ancora culturalmente ed economicamente diviso in tante realtà regionali. E' nel Nord del Paese, dove si avvia il processo di industrializzazione e si consolida una borghesia imprenditoriale, che gli artisti e gli artigiani si accostano alla modernità.
In un clima di ottimismo, con il liberale Giolitti al potere, si inaugura nel 1902 a Torino la Prima mostra internazionale di arti decorative moderne.
Carlo Bugatti presenta mobili rivestiti di pergamena, dalle forme fantastiche e zoomorfe; Eugenio Quarti si distingue per la leggerezza dei suoi mobili a intarsi di fili metallici e di madreperla; il fabbro Alessandro Mazzucotelli espone opere in ferro battuto ispirate alla natura.
Numerose sono le relazioni tra gli esponenti delle diverse discipline artistiche: il pittore Giovanni Segantini, cognato di Bugatti, è uno dei massimi esponenti del Divisionismo, movimento che si afferma nell'ultimo decennio dell'800. Come Gaetano Previati e Giuseppe Pellizza da Volpedo, egli utilizza la nuova tecnica per rappresentare contenuti ispirati al simbolismo internazionale, spesso venati da preoccupazioni sociali.
La ricostruzione futurista dell’universo
Movimento d'avanguardia fondato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti nel 1909, il Futurismo si oppone al "passatismo" della cultura borghese, delle accademie, dei musei. Esso dà voce al desiderio di rinnovamento allora diffuso tra gli artisti più giovani, proponendo una nuova estetica basata sull'esaltazione del progresso e della velocità.
All'appello di Marinetti rispondono Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo e Gino Severini, che firmano, nel febbraio 1910, il Manifesto dei pittori futuristi e, nell'aprile successivo, il Manifesto tecnico. Essi traducono in pittura il desiderio di "rendere e magnificare" i "miracoli della vita contemporanea", di rappresentare la "sensazione dinamica" delle metropoli in continua trasformazione.
Il dinamismo è l'essenza della nuova pittura: non si vuole più catturare un momento di vita, ma "l'eterna velocità onnipresente". Ne deriva un linguaggio rivoluzionario che, attraverso la "simultaneità della visione", tradotta in una compenetrazione dinamica di colori e di forme, intende "porre lo spettatore al centro del quadro".
"Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare una fusione totale per ricostruire l'universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente.": con queste parole Balla e Depero lanciano, nel marzo 1915, il manifesto Ricostruzione futurista dell'Universo, che inaugura una seconda stagione del Futurismo, destinata a durare fino all'inizio degli anni 1940. L'estetica futurista si estende allora a tutti i campi dell'arte e della vita.
A Roma, la casa dove abita e lavora Balla è un campionario virtuale, dove tutto è in vendita, dalle tovaglie alle lampade. La sua stanza da pranzo, ideata nel 1918 e realizzata in legno povero, ha forme eccentriche, dinamiche, colorate. Depero a Rovereto apre la sua "casa del Mago" dove crea arazzi, manifesti pubblicitari, giocattoli, ispirati a una fantastica umanità meccanica. Seguendo il loro esempio, numerosi futuristi aprono negli anni Venti "case d'arte" in diverse città italiane.
Metafisica
Nel 1917 Giorgio de Chirico, pittore di origine greca, da sempre estraneo al mondo delle avanguardie, incontra all'ospedale militare di Ferrara Filippo de Pisis e Carlo Carrà. Nasce allora, nel pieno del conflitto mondiale, la Metafisica, un "sogno travestito di antico", come la definì il critico Fritz Neugass. Vi partecipa, per un breve periodo, anche Giorgio Morandi.
Con la Metafisica, la pittura italiana ritrova la via di un colloquio con l'arte classica che avrà pieno sviluppo negli anni Venti: il richiamo al mito classico, già presente nei quadri che anticipano, fin dagli ani Dieci, la nuova poetica (come L'ennemie du poète) è un elemento centrale nell'opera dei due "dioscuri", i fratelli Giorgio e Andrea de Chirico (noto con lo pseudonimo di Alberto Savinio). Esso viene rielaborato in rappresentazioni che intendono indagare il senso nascosto e profondo delle cose attraverso associazioni inaspettate, colloqui poetici tra oggetti che non hanno alcun legame logico tra loro. Busti, gessi, frammenti antichi convivono in una straniante continuità con oggetti quotidiani.
Benchè la Metafisica sia un movimento esclusivamente pittorico, una sensibilità affine si svliuppa parallelamente nelle arti decorative. Uno sguardo incantato, sospeso tra ispirazione classica e gusto Déco, caratterizza le ceramiche di Gio Ponti, mentre un senso di spaesamento si ritrova nelle ironiche e sorprendenti creazioni in vetro di Buzzi e Martinuzzi per Venini.
Nel 1918, Felice Casorati si è appena trasferito a Torino. L'industriale Riccardo Gualino, collezionista e mecenate, gli commissiona nel 1924 l'arredo della sua casa e la realizzazione di un piccolo teatro.
Casorati realizza inoltre dei mobili per la propria abitazione: in legno nero lucido, dalle linee pure e privi di ornamenti, gli arredi concorrono a creare quell'atmosfera immobile e atemporale che caratterizza anche i suoi dipinti. In anticipo sui tempi, essi presentano una semplificazione di forme ispirata all'arte dei maestri primitivi italiani del Tre e Quattrocento.
Ritorno al classico. Novecento e Realismo magico
A partire dalla metà degli anni Dieci, molti artisti, in opposizione ai linguaggi delle avanguardie, riscoprono i valori della tradizione e la lezione degli antichi maestri, da Giotto a Piero della Francesca.
> Il dipinto Silvana Cenni di Felice Casorati è un suggestivo manifesto di questo "ritono all'ordine" che si diffonde in tutta Europa.
Nel 1922 nasce il movimento Novecento Italiano, sostenuto da Margherita Sarfatti, infleunte critica d'arte. Vi aderiscono fra i primi Sironi, Funi e Oppi, che, guardando al passato, danno vita a un "classicismo moderno" fondato su purezza di forme e armonia della composizione.
Nelle arti decorative la figura dominante è quella dell'architetto Gio Ponti, che, negli anni Venti, reinterpreta per la manifattura di porcellane Richard-Ginori tipologie arcaiche come l'urna e la cista e inventa centinaia di decori, rivisitazioni ironiche della mitologia classica.
A Murano, Paolo Venini affida la direzione della sua vetreria ad artisti e architetti, quali Zecchin, Martinuzzi, e Scarpa, che creano forme pure, di ispirazione classica, ma anche innovative tecniche di lavorazione. Allineandosi al Novecento artistico, destinato a divenire l'espressione "ufficiale" del regime fascista, la produzione di arredi assume forme solide e semplificate (come nei mobili di Portaluppi per casa Corbellini), talora con accenti più magniloquenti.
Il linguaggio "solido, concreto e definitivo" di Novecento è affiancato negli anni Venti dal Realismo magico, corrente che propone un' originale interpretazione del diffuso clima di ritorno al classicismo. La lezione dei maestri del Quattrocento è declinata attraverso l'inquietudine profonda dello sguardo contemporaneo: ne deriva, come scrive Massimo Bontempelli, "un' atmosfera di stupore lucido (…), quasi un'altra dimensione in cui la vita nostra si proietta".
Tra i maggiori interpreti di questa corrente vi sono Felice Casorati e Antonio Donghi, autore di scene borghesi immerse in una dimensione immobile e straniante.
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Astrazione e razionalismo
Nel 1926 un gruppo di giovani architetti lombardi, tra cui Giuseppe Terragni, influenzati dalle teorie di Gropius e di Le Corbusier, secondo cui le forme degli edifici e degli oggetti d'uso sono determinati dalla loro funzione, fondano il "Gruppo 7", dando vita al movimento razionalista italiano. Ben presto vi aderiscono architetti di tutta Italia.
Essi realizzano mobili dalle forme pure, prive di ogni decorazione, utilizzano materiali innovativi come il tubolare metallico, giungendo all' integrazione delle arti con il mondo dell'industria e della produzione di serie. A Como, Terragni progetta un edificio-simbolo del Movimento moderno, la Casa del Fascio, alla cui decorazione collaborano gli astrattisti Manlio Rho e Mario Radice. Arte astratta e architettura razionalista gettano allora le basi del nascente design industriale. Tra gli esempi più significativi di questo momento di passaggio, vi sono oggetti innovativi come la Radio di Franco Albini, e la Lampada Bilia di Gio Ponti, ideata nel 1931, ma messa in produzione solo molti anni più tardi, perchè giudicata troppo all'avanguardia.
Info mostra
Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano 1900-1940
Palazzo delle Esposizioni
Roma
Date della mostra
16 Ottobre 2015 – 17 Gennaio 2016
Comitato scientifico
Guy Cogeval, presidente dell'istituto pubblico del museo d'Orsay e del museo dell'Orangerie Beatrice Avanzi,conservatrice al museo d'Orsay
Irene de Guttry, storica dell'arte
Paola Maino, storica dell'arte
Questa mostra beneficia del Patronato del Ministerio dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT).